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Black Level

Regia di Valentyn Vasyanovych vedi scheda film

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La recensione su Black Level

di OGM
7 stelle

Un fotografo ritrae un mondo in cui la vita continua a fuggire, lasciandolo sempre più solo.

Rettangoli di luce. Quadri che fissano istanti di vita immobile. La fotografia è il ritaglio di un attimo di indifferenza, di noia, di dolore; il più delle volte, è il ritratto di una finzione. L’illusione sa come comporsi sapientemente di forme e di colori, o anche come gestire artisticamente la loro deliberata assenza: il bianco sul bianco, uno schermo nero a impedire lo sguardo, a coprire l’orizzonte,  a imitare la notte. Altre volte il dipinto è un collage alla rinfusa, un mucchio di oggetti buttati là, per variegare di sfumature spente la dimenticanza, la discarica delle intenzioni messe da parte. Il caso domina il disordine di una cantina, la creatività priva di schema degli appigli multiformi di una parete del free climbing: un insieme di tappe che è difficile decifrare, fare proprie, concatenare in una sequenza logica che porti davvero avanti il discorso. Bisognerebbe saper smettere di prendere quel caos come una deprimente serie di finali: l’ultimo incontro con l’amore, una festa senza più invitati, una carrozzella orfana del suo occupante, un tentativo di scalata che termina in un fiasco. Questo film rispetta, disciplinato, la calcolata successione di posa e scatto, di attesa e delusione, della bellezza fugace e della sua improvvisa morte. Il protagonista alterna macchinalmente, come quando prepara i servizi per le riviste di moda, la luminosa fase della contemplazione con il passaggio buio che segue l’accecamento del flash. Il motivo conduttore, in questa sinfonia spezzettata, è un uniforme silenzio: nessun suono interrompe il flusso del pensiero che cattura  il chiarore del giorno per poi stamparsi sempre in negativo, dentro una cornice che separa la speranza di un attimo dall’intricato complesso della storia. Il totale della realtà è inarrivabile. Esistono solo singoli sogni o ricordi, che restano chiusi dentro una inquadratura, troppo stretta per contenere una frase intera.  Le parole, se pronunciate, rimarrebbero isolate, apposte come sintetiche didascalie  al margine di istantanee prive di espressività. La loro omissione pone in evidenza il timido ritrarsi del senso dentro l’angusto spazio di certezze passeggere, di obiettivi nati per riempire solo un frammento dell’esistenza, richiedendo un breve segmento di attenzione, compreso fra due parentesi così vicine da riuscire ad abbracciarsi. È strana, fredda, persino beffarda la sensazione di intimità che attraversa i minuscoli capitoli di questo racconto, aperti come finestrelle su un ambiente rarefatto e confuso,  che solo ogni tanto giunge a condensare i propri desideri in disegni dai contorni un po’ più netti, marcati dallo sforzo di produrre calore e fantasia, pur in un mondo così avaro di spunti. Black Level affronta questa fatica senza fare rumore, con la determinazione che, paradossalmente, nasce dalla rassegnazione: da quel consapevole e sereno atto di resa che genera, nell’anima, la tranquillità necessaria a continuare a provarci, senza mai disperare.

 

Kostyantyn Mokhnach

Black Level (2017): Kostyantyn Mokhnach

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