Regia di Jennifer Yuh vedi scheda film
Anteprima, in sala dal 14 agosto
Un’epidemia sconosciuta ha ucciso in breve tempo il 98% dei bambini presenti sul pianeta Terra.
I sopravvissuti hanno sviluppato misteriosamente dei superpoteri e pertanto sono visti come una minaccia dal mondo degli adulti. Internati in un lager e divisi con colori indicanti il superpotere individuale, verde (super-intelligenza) giallo (dominio dell’elettricità) blu (poteri psichici), arancione e rosso (poteri così assoluti da richiedere l’eliminazione immediata), trascorrono sei anni in regime di schiavitù controllati da uomini armati fino ai denti.
Una ragazza mulatta e arancione, catturata bambina a dieci anni e sfuggita fortuitamente all’eliminazione, scappa dal lager e si unisce ad altri tre fuggiaschi, un verde (il nero Ciccio), un blu (il bianco Liam) e un giallo (la cinesina Zu). Messi insieme i quattro colori dell’umanità, il gruppetto multietnico inizia una fuga rocambolesca ricca di colpi di scena e adrenalina fino al finale, alquanto fumoso e frettoloso, che lascia in dubbio se voglia essere consolatorio o meno.
Il film ha un ritmo discretamente sostenuto e una buona fotografia, i quattro ragazzi risultano simpatici, cosa che non sempre accade in film del genere, gli effetti speciali non invadono la scena se non verso il finale, ma il frastuono è sopportabile.
Eppure non convince.
Basato su un romanzo dallo stesso titolo di Alexandra Bracken, scrittrice americana molto popolare al suo paese che produce in serie la saga, resta un film per ragazzi benchè sia chiaro che ambisca ad altro.
Va detto che film con storie adolescenziali proiettate in un futuro distopico non sono più una novità e il riciclo risulta evidente, Divergent e The Hunger Games sono precedenti illustri, e quanto a fughe nei boschi alla ricerca disperata di sopravvivenza in un mondo in cui gli adulti diventano i nemici più temibili basta guardare alla storia vera del secolo scorso per trovare racconti più credibili.
Ci sono, per citarne uno, i bambini–lupo
orfani tedeschi di genitori uccisi dall’Armata Rossa del film di Rick Ostermann, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 70, che avrebbero molto da insegnare a questi patinati coetanei americani che, tra una carneficina e l’altra, riescono perfino a fare battute di spirito o versare lacrime d’amore.
Quanto al significato di quello che accade si glissa a più non posso: perché l’epidemia, perché l’internamento dei sopravvissuti, perchè la paura degli adulti, perché i quattro in fuga lasciano il pulmino nel bosco e proseguono a piedi, perché il centro commerciale dove approdano è devastato come se fosse esplosa un’atomica ma ci sono ancora abiti civettuoli appesi negli stands e sacchetti di Chips in bella vista pronti ad essere mangiati.
E i perché non finirebbero qui.
Il dialogo è imbarazzante nella sua leggerezza, il tratteggio dei personaggi resta in superficie, aleggia una morale convenzionale improntata a buonismo di genere e quello che vorrebbe essere il risvolto socio-politico è relegato a sottotesti troppo labili ed evanescenti per lasciare traccia.
Infine i buchi di sceneggiatura, troppi, e un finale, che non va rivelato, ma sembra confezionato per dire: occhio, non perdete le prossime puntate, ne vedrete delle belle!
Ce n’è dunque abbastanza per dimenticarlo in fretta, ma non prima di aver aperto un utile confronto con un vecchio film a cui lo accomunano due temi: l’infanzia negata e tradita, il futuro distopico che attende l’umanità.
E’ Hallucination di Joseph Losey
Non si tratta di parva componere magnis, è evidente che sono il gigante e la formica, qui si fa solo una considerazione sulla distanza incolmabile fra un certo cinema del presente, opulento nelle risorse tecniche, ricco di finanziamenti, preceduto da un fragoroso tam tam mediatico e un cinema d’altri tempi, povero, spesso girato fra ostacoli di ogni tipo, sconosciuto alle masse ma autenticamente autoriale.
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