Regia di Etienne Kallos vedi scheda film
Chissà se Etienne Kallos, il regista greco-sudafricano di The Harvesters, conosceva l’omonimo dipinto a olio su tavola, eseguito nel 1565 da Pieter Brueghel il vecchio. L’artista mette in scena il periodo del raccolto che avviene ad agosto e settembre con i suoi mietitori in pausa dal produrre cibo al farne uso.
Chissà se Etienne Kallos, il regista greco-sudafricano di The Harvesters, conosceva l’omonimo dipinto a olio su tavola, eseguito nel 1565 da Pieter Brueghel il vecchio.
L’artista mette in scena il periodo del raccolto che avviene ad agosto e settembre con i suoi mietitori in pausa dal produrre cibo al farne uso. Fu Nicolaes Jonghelinck, un mercante e collezionista di Anversa a commissionarlo e rimase nella storia agreste e contadina dell’umanità.
Come si pensa farà questo film che, non a caso, ha vinto il premio MYMOVIES, ad Alice nella Città, sezione a latere della Festa di Roma che racconta la formazione di un giovane agricoltore africano, con le stesse vaste distese di campi gialli e ocra che si vedono in Brueghel.
Janno (Brent Vermeulen) è un adolescente benvoluto che si comporta sempre in modo molto educato. Quando i suoi genitori, fondamentalisti cristiani, portano Pieter, (Alex van Dyk), un misterioso orfano nella loro fattoria, per lui la vita cambierà drasticamente e anche le sue certezze consolidate da tempo.
E’ indubbiamente un film sul senso di appartenenza e ce ne sono sempre meno. Sia di sensi, che di appartenenze, quindi risulta ovviamente sorprendente, valido. Un film già premiato a Cannes che ribolle in pentola silenzioso ed esce pian piano con pennellate diverse e lentissime.
Nello sfondo, il dialetto Afrikaans lingua germanica per lo più vissuta in Sud Africa e Botswana, che connota discendenti dei coloni olandesi supercattolici. Parlata sempre meno. Poi la cultura contadina, anche questa in estinzione.
Il confronto tra i due ragazzi così diversi e complementari parla proprio di vite cittadine e agresti, di esperienze forti e devastanti che divorano un adolescente e la lentezza, marginalità apparente della vita in campagna, dove nulla succede, ad eccezione dei ritmi scandagliati della natura e delle sue produzioni.
L'altalenanza nel rapporto tra questi Caino e Abele contemporanei, lascia anche sottendere una riflessione sulla cultura maschile in Sud Africa, un rapporto non solo tra parenti, fratelli e padri, ma tra uomini in ogni caso.
Riferimenti all'omosessualità, alla volontà di Janno di essere benvoluto e parte del gruppo a tutti i costi, rivela insicurezze che il fratello Pieter, figlio di una quindicenne deceduta, ex drogata e prostituta, non mostra affatto. Egli si definisce "white meat" ed è consapevole di cosa fa e perché, mostrando una forza, fierezza e sicurezza indelebili.
Altro sfondo che si ripresenta e ripercuote in tutto il film, è la religiosità e dipendenza dal volere divino della madre che spiega tutte le adozioni compiute, 5, come una volontà già scritta e un dovere assoluto, voluto dall'alto con un senso di obbedienza.
Scoprire questo film, con le sue numerose ruote concentriche, come fosse un girone dantesco con tutti i suoi diversi dannati, è veramente un'esperienza formativa che si consiglia soprattutto ai giovani.
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