Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Il terzo lungometraggio del regista monacense è il preludio alla dimensione iperrealistica che s’aprirà vigorosamente col documentario “Il Paese del silenzio e dell’oscurità”. I personaggi del film sono veri nani, quindi reali portatori di handicap, ma la loro condizione non è utilizzata al fine d’indagarne e metterne a fuoco il disagio (come invece avviene coi soggetti sordo-ciechi dell’opera successiva), ma per dare vita a una sorta di potente allegoria della società (“normale”). L’impatto emotivo sullo spettatore non è dirompente, dato che si è di fronte ad una storia finzionale (seppur interpretata da individui effettivamente menomati) e non alla realtà nuda e cruda, quale quella della Guerra nel Golfo (“Apocalisse nel deserto”), di Timothy Treadwell (“Grizzly man”) o Fini Straubinger (“Il Paese del silenzio e dell’oscurità”). Tuttavia, l’impianto da “fiction” può rivelarsi altamente efficace se si limita a porre in scena e sviscerare un concetto, un’idea o ideologia, evitando invece di puntare alla rappresentazione veridica degli orrori del quotidiano, cui soltanto un approccio documentaristico, coadiuvato da una straordinaria sensibilità artistica, può giungere. E’ il caso della pellicola in questione, al cui centro si pone una riflessione antropologica, e al tempo stesso metafisica, dall’eccezionale portata metaforica. Il film principia con una ripresa a 360°, che inquadra lo scenario desolato nel quale è immerso un istituto di rieducazione; a questa panoramica farà seguito, in un momento centrale del lungometraggio, l’immagine del medesimo edificio colto in un campo lunghissimo, come fosse gettato in qualche sperduta latèbra dell’universo. I nani assurgono così a emblema della miserrima piccolezza dell’uomo, soggiogato da leggi che, investendo l’umanità intera, la Natura, il cosmo, lo conducono ineluttabilmente al conflitto. Sequenza dopo sequenza, si è resi testimoni di un inarrestabile turbinio di caos, violenza e sopraffazione, reduplicati significativamente dalla lotta per la sopravvivenza degli animali: dai maialini che si nutrono dalle mammelle di una scrofa morta, alla gallina che ora si ciba d’un topolino ora infierisce sul corpo esanime di un’altra gallina.
Ad attraversare tutta la storia, l’assillante, costante e perpetua risata d’un nano, echeggiante quasi fosse il sempiterno ghigno malefico della Vita. Che procede grottesca e insensata come il girare a vuoto di una “vettura priva di conducente”.
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