Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Alla fine del 1560 l’ennesima spedizione spagnola muove alla ricerca dell’Eldorado, ma a un certo punto l’ostilità delle condizioni naturali consiglia di mandare in avanscoperta un gruppo di qualche decina di uomini. Quando il comandante decide di tornare indietro il suo vice, Aguirre, prende in mano la situazione: si ribella alla Spagna, crea un fantomatico impero personale e va avanti ad ogni costo. Non sono un fan di Herzog, ma questo film ha una potenza impressionante. Sceglie un argomento di dimensioni mitiche (l’Eldorado sta all’America meridionale come il passaggio a nord-ovest a quella settentrionale), un protagonista al di là del bene e del male (anche nel campo della morale privata, come mostrano le sue malcelate tentazioni incestuose nei confronti della figlia) e racconta per via metaforica la storia del colonialismo. Aguirre è pazzo, certo, ma anche gli altri non sono messi tanto bene: basta vedere il pressapochismo con cui affrontano l’impresa, abbagliati dal miraggio dell’oro; e in quest’ottica è emblematico il personaggio del frate, fedele al potere qualunque esso sia e cieco di fronte alle drammatiche contraddizioni della sua missione (non ha nulla da obiettare sulla schiavitù in cui sono stati ridotti gli indigeni). Così quel finale grandioso, in contrasto con i fatti storici (il vero Aguirre venne ucciso dai suoi: cfr. Victor Von Hagen, L’Eldorado, Milano, Rizzoli 1993, pp. 249-52), finisce per essere una profezia sul destino dell’uomo bianco.
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