Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Forse è perchè amo Kinski, e sono di parte. Eppure la mano lenta di Herzog, che altrimenti non mi piacerebbe, riesce qui a farmi invece seguire l'intero film, le intere sue follie, e le intere sue promesse. Parlo di promesse perchè fin dall'inizio si respira un'aria di tragedia annunciata, spietata e crudele, che in realtà non arriverà. Arriva invece, l'ancora più spiazzante e prosaica fine, quasi indifferente, di un folle Aguirre che rimasto solo spadroneggia su tutto: dai cadaveri dei suoi uomini, alle piccole scimmiette, dall'acqua del fiume e alla natura lì intorno, fino a lui stesso. Kinski è insuperabile, e può essere assunto come simbolo materiale del dualismo tra "essere" e "voler essere". Ciò che ci spinge a voler essere di più, è anche ciò che un giorno ci riporta a non essere. E' il delirio di onnipotenza, di onnipresenza, e azzarderei anche dire di onnipiacenza. Vogliamo tutto, e non riusciamo ad avere niente. Vogliamo essere amati e amare tutto e tutti, e invece centelliniamo quel poco che abbiamo. Vorremmo, vorremmo, e vorremmo... E invece dobbiamo ripiegare, fuggire, dimenticare. E a volte, questo divario tra "essere" e "volere essere" ci porta anche ai gesti più estremi e più folli. I meno razionali, e i più autodstruttivi, in cui però, guarda caso, paradossalmente vi troviamo il piacere, la serenità, e la vitalità di "essere". Vedi Aguirre. Vedi proprio Kinski.
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