Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Il lirico elogio dell’ignoranza. La ragione dell’uomo cresciuto nel totale isolamento ha la forza di una logica primigenia, e quindi pura ed incondizionata, estranea alle convenzioni ed alle mode. Per chi riemerge dal buio, tutto quanto appaia sotto la luce è ugualmente nuovo, e quindi riveste pari dignità nell’universo: per la mente di Kaspar non esistono quindi corsie preferenziali, concetti sovrani, gerarchie di significato, ma solo un uniforme ed amoroso stupore, dispensato con la stessa generosità ad ogni forma del reale. Solo ciò che è costruito gli risulta ostico ed irraggiungibile: il complesso patrimonio di saperi ereditato dalla storia (la tecnica per suonare il pianoforte o per erigere una torre) è il prodotto di una lunga e graduale evoluzione che attraversa i secoli, ed il pensiero di un singolo uomo non può quindi immediatamente impadronirsene. In questo senso, Kaspar Hauser è l’angelo inviato sulla Terra per separare la spontaneità dall’artificio, la nuova invenzione dalla mera riproduzione, distinguendo le doti innate dell’intelletto umano dalle competenze acquisite passivamente a posteriori. La sua missione è evidenziare il carattere libero, originale e primitivo della creatività, che si esprime, a modo suo, anche in assenza di una formazione linguistica ed una preparazione culturale. Lo stesso apprendimento sorge, in una tabula rasa, come un istintivo processo di scelta, imitazione ed attaccamento, che si orienta, secondo una congenita inclinazione individuale, verso certe cose, trascurandone completamente altre. Il misterioso “padre” del protagonista vorrebbe farne un cavaliere, per onorare una tradizione di famiglia, ma il ragazzo preferisce dedicarsi al lavoro a maglia e alla coltivazione delle aiuole. Egli impersona, così, l’autentico figlio di madre natura, ossia di quel caos cosmico che ci ha generati come tante, differenti, fantasiose combinazioni di geni, e che proprio dalla varietà attinge l’energia e la ricchezza necessarie alla sopravvivenza. La diversità è dunque la nostra condizione primordiale, che le regole ed costumi tendono ingiustamente a livellare, con un sopruso ingannatore che ci impedisce per sempre di sapere chi, per nascita, ciascuno di noi veramente sia. Jeder für sich und Gott gegen alle (Ognuno per sé e Dio contro tutti) è il poema laico della unicità, che, a contatto con la civilizzazione, diventa il termine di un’eroica sfida, destinata, quasi sempre, a sfociare nel martirio.
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