Regia di Richard Linklater vedi scheda film
Per un autore c’è un momento nel quale il proprio percorso artistico si prende una pausa, riflette sulla propria natura e/o si interroga sulla propria identità, e che spesso si traduce nella produzione di un’opera cosiddetta “minore”, non necessariamente brutta ma molto semplicemente un’opera forse più modesta del solito.
Per Linklater e la sua continua ricerca di sperimentazione questa pellicola potrebbe corrispondere a qualcosa del genere.
Adattamento del bestseller del 2012 Where’d you go, Bernadette di Maria Semple acquistato da Annapurna Pictures e Color Films già nel 2013 e subito affidato alle cure del regista Richard Linklater che, insieme ai co-sceneggiatori Holly Gent e Vince Palmo, ha accettato la sfida e si è dedicato al non semplice compito di adattare un romanzo piuttosto anticonvenzionale come quello della Semple, essendo un insieme di lettere, e-mail e annotazioni sparse senza un reale filo logico o anche solo temporale, per trasformarlo invece in un copione cinematografico coeso e con una certa linearità.
Pur se opera prettamente su commissione, la pellicola riprende comunque molte delle maggiori prerogative della poetica di Linklater attraverso la storia di una relazione a lungo termine arrivato a un punto di rottura e, quindi, degli alti e bassi di una vita passata insieme, ma che parla anche di genitorialità e del rapporto tra genitori e figli, di cosa comporta, tra rinunce e opportuna colte o abbandonate, passare a un’età più matura lasciandosi alle spalle i propri sogni o, in questo caso, anche di un’artista che non viene messo in condizione di poter esprimere al meglio il proprio talento (questione che sono convinto sia molto sentito dal regista texano) e..ah, si.. anche di uomini che non riescono (o non vogliono) comprendere le donne.
In tempi di rivendicazioni leggittime, quando non sconfinano in pura strumentalizzazione o persecuzione ad personam come invece, a volte, purtroppo accade, quella del romanzo di Maria Simple e, quindi, della brillante commedia di Linklater si dimostra nella sua semplicità ma anche leggerezza, nonostante un retrogusto amaro o, a volte, anche drammatico, una delle operazioni più genuinamente femministe degli ultimi anni e prive soprattutto di quel livore ed eccesso, sia di situazioni che di linguaggio, che ne avrebbero invece rovinato il contesto.
Mattatrice ultima della pellicola ovviamente la divina Cate Blanchett nel dare corpo e forma a un personaggio complesso e carismatico, un’enfant prodige dell’architettura moderna ampiamente lodata dai colleghi che si ritira per dedicarsi alla famiglia per poi chiudersi progressivamente in un isolamento misantropico, autoindulgente e complulsivo e dalle battute talmente fulminanti che, fin troppo spesso, sembra ancora di avere a che fare con un personaggio scritto da Woody Allen (e che alla Blanchett ha portato anche un Oscar) ma bisogna sottolineare anche il talento della giovanissima Emma Nelson, in un ruolo tutt’altro che secondario ma anzi fondamentale, che arriva direttamente dalla Tv e qui al suo debutto cinematografico.
Un talento da tenere d’occhio.
VOTO: 6,5
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