Regia di Sonny Mallhi vedi scheda film
Una bella quarantenne separata con due figli in età teen, trasferitasi da poco tempo in una nuova città dopo aver avuto rilevanti problemi di dipendenza da alcolismo e pasticche, tanto da essere abbandonata dal marito, si appresta a ricominciare daccapo: nuova occupazione in prova, circolo degli alcolisti anonimi da frequentare la sera per evitare di ricadere nel tunnel; nuova casa, grande anche se situata in un quartiere non proprio eccelso; voglia di riuscire a recuperare la stima dei figli, titubanti e piuttosto propensi ad aspettarsi il peggio da una madre fino a quel momento irresponsabile e soggetta a ricadute sempre più devastanti quanto a dipendenza e a volontà autodistruttive. Il giorno in cui la donna incontra un affascinante collega alcolista alle sedute a cui partecipa, tra i due nasce un’attrazione reciproca non espressa, ma piuttosto evidente. La donna tuttavia non sa che l’uomo è un vampiro, a caccia di una compagna proprio tra gli alcolisti, per salvarla da quella dipendenza, ma conferendogliene una che tende all’eternità: la sete di sangue.
Quello che sembra una evoluzione, si rivela un passo falso e la capacità della donna di tener freno ai suoi appetiti, nonché di non compromettere la vita dei due figli, diviene sempre più una incognita incontrollabile.
Dal regista Sonny Malhi, quello dell’apprezzato horror-vintage Angoscia (2015), Family Blood rappresenta un appuntamento coerente con la valida pellicola precedentemente accennata, pur se i condizionamenti con i vezzi e i luoghi comuni sin troppo sfruttati del genere e della sfaccettatura vampiresca, si fanno più pesantemente sentire in questo ultimo, fiaccando certe valide intuizioni introspettive.
E se, dal lato dell’interpretazione, assai valida risulta la prova della ex modella Vinessa Shaw – disperata e consunta nel calvario del passaggio da una dipendenza mortale…ad una immortale, meno plausibile appaiono le scelte in capo agli scenografi: possibile che una madre con un lavoro precario e due adolescenti da mantenere, quindi a corto di liquidi, riesca a trovarsi un appartamento grande come la Reggia di Caserta, all’interno di un quartiere che pare il cuore chic di Gotham City.
Sorge spontaneo pertanto uno, anzi alcuni interrogativi: ma gli scenografi, dove vivono? Che rapporto contraddittorio vivono nei confronti della realtà? La quale, pur in un contesto di finzione, ha spesso una sua valenza primaria, e pertanto necessita di essere riprodotta con coerenza, non riciclata a vanvera ad uso e consumo di una troupe che, indubbiamente, gode di vantaggi e semplificazioni ad agire su contesti spaziosi su cui agire indisturbata e padrona di ogni movimento
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