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Il vizio della speranza

Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film

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La recensione su Il vizio della speranza

di Furetto60
8 stelle

Dramma della miseria umana.Opera di grande potenza espressiva, di Edoardo De Angelis.

Maria è una giovanissima e sciatta ragazzina, che brancola nella periferia di Castel Volturno, al suo guinzaglio ha sempre un Pit -Bull femmina, che non abbaia mai e non ha un nome, si chiama cane. La vediamo attraversare cumuli di immondizia, in un territorio degradato e lercio, che non è altro che un’enorme discarica a cielo aperto. Abita sulle sponde del fiume Volturno, vive con una madre catatonica e risponde agli ordini di una pappona impegnata in uno squallido mercimonio, in sostanza recluta giovani donne incinte, per lo più prostitute, per accompagnarle a vendere i loro futuri bambini, a chi può permettersi “l’acquisto” di queste adozioni illegali. Fa da trade-union tra un’umanità umiliata e un malaffare amorale. Maria ha trascorsi burrascosi, fu violentata da bambina e buttata a mare come un sacchetto di rifiuti, salvata da un pescatore giostraio, che per somma e beffarda ingiustizia, fu additato come il suo aguzzino e non il suo salvatore. Ferita profondamente nello spirito e nel corpo, non c’è traccia in lei di emozione, o di passione, esegue pedissequamente gli ordini della sua “padrona “ma quando scopre di esser rimasta gravida, malgrado le sue menomazioni fisiche retaggio del passato terribile, qualcosa scatta nella sua mente, si ribella alla routine di sfruttamento, Maria così diventa vittima delle minacce della pseudo-mammana eroinomane, che gestisce il traffico di neonati, ma aiutata dall’unico “essere umano” che conosce, riuscirà a trovare il suo percorso di redenzione. Edoardo De Angelis è napoletano e conosce molto bene il territorio della Campania e non fa sconti, Castel Volturno location del film non è stata imbruttita per esigenze di regia, ma ahinoi è proprio così, non ci sono i nomi delle strade, le targhe sono ormai logore e indecifrabili, le strade dissestate, le case diroccate. Un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, dove nessuno raccoglie più la spazzatura, l’ufficio postale è chiuso, la scuola abbandonata da chissà quanto, la chiesa fuori uso, il commissariato inesistente, dove lo Stato è completamente assente. Un paese desolato e allo sbando in cui le fogne saltano, le strade sprofondano, mancano le risorse per abbattere le case abusive sul demanio pubblico e la criminalità internazionale e nazionale dilaga senza ostacoli. Un inferno in terra, dove si aggirano anime dannate alla deriva in cerca di un’identità e di un’impossibile via d’uscita. Prostitute, piccoli spacciatori, clandestini, l’umanità più vulnerabile, vittima e carnefice di se stessa. L’evoluzione della narrazione per quanto intensa e coinvolgente, però pecca laddove si sovraccarica di una metafora religiosa eccessiva, oltre a Maria ci sono Fatima, Virgin. Il film, assume a tratti un tono forse troppo liturgico e visionario e perfino retorico, ma a parte questi piccoli vizi di forma, il film è potente e ci sono lampi di sceneggiatura geniali e vibranti. L’apologia della schiavitù, teorizzata da Zì-Marì, è un monologo, nella sua colorazione farneticante, a suo modo strepitoso: aspirare alla libertà è deleterio per l’animo umano, viceversa la schiavitù, con le sue regole, punizioni, premi, è per lei la più sensata della libertà, che in fondo non è altro  che uno spazio vuoto. Grande cinema

 

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