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Il vizio della speranza

Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il vizio della speranza

di yume
6 stelle

“In questo film vince chi resiste all’inverno, vince chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi e quando qualcosa cambia riesce, come nel caso di Maria, ad agire.” parole del regista.Dunque non è un film sulla speranza, se mai sulla pazienza.

locandina

Il vizio della speranza (2018): locandina

 

Perché anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente.Giorgio Scerbanenco

A Castel Volturno la speranza è davvero un vizio, come bere, fumare, sniffare, non te la togli mai di dosso sennò crepi. Ma sperare non è vivere, e infatti a Castel Volturno non si vive. Attenzione però, un vizio assurdo, la speranza, lo è sempre e dovunque, e della frase di Scerbanenco De Angelis coglie la carica disperatamente eversiva.

Forse, almeno questo ci piace credere.

De Angelis calca la mano, carica la storia di elementi volutamente eccessivi e paradigmatici, tipo la giostra che riparte miracolosamente dopo vent’anni di abbandono, il cane che muore in un momento topico e giù lacrime, animaliste e non, il salvataggio rocambolesco della bambina nera e zoppa da un destino infame di sfruttamento e prostituzione, il vecchio giostraio che appare dal nulla a salvare l’eroina e s’improvvisa perfino ostetrico, e infine il bambino, che finalmente nasce alla protagonista dal nome emblematico, Maria.

Questi elementi della storia sembrano entrare in rotta di collisione col titolo e l’affermazione di Scerbanenco.Si conclude che la speranza non è un vizio, che anzi bisogna sperare e tutto cambierà, che ci sarà un domani migliore e intoneremo in coro l’Inno alla gioia.

Ma allora perché si esce dal film chiedendosi “E dopo?”.

In questo film vince chi resiste all’inverno, vince chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi e quando qualcosa cambia riesce, come nel caso di Maria, ad agire.” parole del regista.

Dunque non è un film sulla speranza, se mai sulla pazienza.

Infatti, il bel mattino in cui Pandora decise di aprire quel vaso la speranza cominciò subito a far danni.Condannò all’immobilismo e alla cristiana rassegnazione di fronte a tutti i mali che si erano allegramente sparsi nel mondo.I nomadi del terzo millennio hanno speranze? No, hanno tanta pazienza, su quelle navi serve solo quella, o ti butti in mare.

Il mondo è un inverno gelido e piovoso anche in posti dove non piove mai.Perchè può piovere anche a Castel Volturno, e se bruciano la Siberia e l’Amazzonia non può piovere lì?

Maria ha il nome giusto, il film inizia con la sua prima comunione, o meglio, con il suo salvataggio sul fiume da sicura morte dopo lo stupro avvenuto proprio quel giorno. E’ un breve flash ellittico, all’inizio, mistero sull’uomo che la salva, forse il giostraio che vedremo dopo, ingiustamente accusato di stupro e da allora reietto dal corpo sociale.

L’azione si sposta di vent’anni e ritroviamo Maria, col pancione sempre più visibile, dedita con un ruolo da schiava ad un traffico di prostitute di colore e neonati venduti a coppie sterili.

Un cameo che rischia di sfuggire è sulla coppia che ha “ordinato” un neonato nero.

Il grande Tognazzi tanti anni fa recitò una delle sue parti migliori con una storia del genere. Ma era la gloriosa commedia all’italiana, ridanciana ma non superficiale, coglieva con buone capacità di visione i vizi italici, erano altri tempi e si poteva ancora sorridere.

La nostra Maria post moderna (Pina Turco) ha sussulti di rivalsa, desiderio di fuga, il vecchio giostraio della baracca sul fiume sarà il suo deus ex machina, ma non è speranza la sua, è animale istinto di sopravvivenza.

Se ciò non fosse il film sarebbe un santino, e sinceramente non lo è. Tiene alta l’attenzione, non fa sciogliere in lacrime, gli attori sono bravi e ben diretti, l’empatia col pubblico è buona e non ruffiana.

Pina Turco

Il vizio della speranza (2018): Pina Turco

Purtroppo lo scenario di questa storia di degrado, miseria economica e morale, violenza, vite ai margini è così reale da sembrare inventato e c’è poco da sperare. Le baracche e la monnezza della discarica fronte mare sono uno skyline del litorale campano che può perfino essere peggiore di così (vedi Terra dei fuochi). Basta risalire la litoranea lasciandosi alle spalle i lussuosi Hotel a 5 stelle di Paestum per vedere grappoli di neri chini su terre assolate a raccogliere pomodori.

Chi può permettersi il lusso di sperare da quelle parti?

Forse serve la pazienza, ma a sopravvivere, e magari sposta di qualche centimetro le cose. Resta il fatto che si esce dal cinema chiedendosi: bene, ok, ma dopo?

Forse il regista voleva mandare un messaggio di fiducia? Chissà, non ci è sembrato, la canzone di Enzo Avitabile è chiara anche a chi non conosce quel dialetto, e risuona lungo tutto il film insieme a bellissime canzoni di etnie lontane cantate da voci naturalmente impostate, come un tempo sui campi di cotone:

 Jastemma d’Ammore (Amore è una bestemmia)

………………

Ammore è sulo ‘na parola

Anima povera e sola
Ca nisciuno cunosce
Che magnanneno povere comme povere simmo
Nun truvanno nisciuna risposta
Vanno annanz’
Varcanno ‘e cunfin’ d”a vita

…………….

 

www.paoladigiuseppe.it

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