Nella realtà degradata di Castel Volturno, Maria non perde "il vizio della speranza". Pellicola che riesce a trasmettere emozioni, nonostante alcune cadute nel banale.
XIII FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA (2018)
Realtà prima ignorata ma che ultimamente ho visto diverse volte porttata sullo shermo, Castel Volturno, comune degradato in provincia di Caserta, vede la difficile convivenza tra la comunità locale, già impestata da criminalità camorra, e una crescente popolazione di immigrati irregolari gonfiatasi disordinatamente e divenuta preda di mafie locali e importate dall'estero.
Proprio in questa realtà avvilita si muove Maria, incaricata dalla immorale "madame" ingioiellata che governa il bussiness dei corpi di portare le prostitute , perlopiù nigeriane, rimaste incinte presso una improbabile ostetrica, che le aiuterà a partorire i loro bambini in una lurida casupola lungo il fiume, per poi inviarli immediatamente alle coppie che li hanno ordinati e pagati.
In questo osceno mercato di svendita dei corpi è complice e vittima la tosta Maria (Pina Turco, moglie del regista) che, racchiusa e protetta dal cappuccio della felpa, incede a a denti stretti, accompagnata dalla fedele Cane, attraverso un universo femminile pieno di miseria e di ricchezza: l'odiosa e disumana Madame (Marina Confalone), la devastata madre ( interpretata da Cristina Donadia, volto noto della serie Gomorra) e la sorella, la fuggitiva Fatima che non vuole rassegnarsi al destino scritto dagli sporchi interessi altrui, la prostituta Blessing e la solare figlia Virgin, che animano una piccola comunità trasportata di peso da Benin City alle rive del Volturno. E proprio il fiume ed i suoi canali, arteria d'acqua su cui scorrono le vite di questa umanità avvilita, sono centrali nella vicenda di Maria, ripescata dalle sue onde dopo un'orribile violenza sessuale che l'avrebbe privata per sempre della possibilità di procreare, ma che ciononostante non perde "il vizio della speranza" che in tale contesto è per forza di cose anche ribellione al sistema criminale di cui è stata ingranaggio.
Se alcune scene, come l'incipit, sono animate da piglio visionario ed evocativo, poi lo stile lascia per lo più spazio ad un realismo crudo, adatto alla relatà mesa in scena. Il film che il regista De Angelis de finisce "un racconto di resistenza e di rinascita" riesce in più punti ad emozionare, anche grazie alle belle musiche di Enzo Avitabile, nonstante alcune cadute nella banalità (la triste fine di Cane, il cavallo dalla criniera svolazzante nel vento, il personaggio maschile irrisolto di Pengue, interpretato da Masimiliano Rossi).
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