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Catalogne: l'Espagne au bord de la crise de nerfs

Regia di Gary Grabli, Sylvain Louvet vedi scheda film

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La recensione su Catalogne: l'Espagne au bord de la crise de nerfs

di OGM
6 stelle

La crisi in Catalogna: un racconto, una denuncia, un'analisi. O forse niente di tutto questo.

Carles Puigdemont è stato invitato a parlare. Alla serata conclusiva del FIFDH, Festival e Forum Internazionale Cinematografico sui diritti umani, in occasione della proiezione di questo documentario, hanno voluto che fosse presente anche lui: l’ex President de la Generalitat de Catalunya che, nonostante l’avvenuta destituzione per decreto governativo, si considera ancora tale per legittima volontà dell’elettorato, e definisce il suo soggiorno belga come un esilio. L’internazionalizzazione del procés – la recente mobilitazione catalana per il conseguimento dell’indipendenza – è la sua attuale missione. Ginevra, sede europea dell’ONU, è il luogo ideale per ogni rivendicazione che intenda riferirsi ai diritti fondamentali, come le libertà di espressione e di riunione e l’autodeterminazione dei popoli. Sul fronte opposto si erge il mondo del diritto al singolare, deputato a  offrire ordine, garanzie e sicurezza,  dal quale i più si sentono protetti, altri – ingiustamente? – perseguitati. La crisi, in tale paradosso giuridico, è il conflitto tra due ragioni che vivono in mondi separati, e che si sentono reciprocamente minacciate, senza veramente conoscersi, senza sapere davvero come combattersi. Difficile comprenderle da estranei, soprattutto se si pretende di comprenderle entrambe. In questo scenario, l’informazione giornalistica e l’approfondimento politologico possono forse solo offrire la chiave di accesso al problema, delineandone i tratti esteriori, senza veramente poterne trasmetterne il vasto e complesso contenuto culturale, storico, ed anche emotivo, che ognuna delle parti riversa in un’arena dai contorni indeterminati, in cui ci si scontra all’infinito perfino sul significato di un vocabolo comune e basilare come violenza. Gli eventi degli ultimi mesi - quelli trascorsi dalla celebrazione del referendum del 1° ottobre, dichiarato illegale e segnato dal massiccio intervento delle forze di polizia – sono troppo tumultuosi e densi per essere decifrati. Solo le cronache regionali li riportano in tutti i dettagli. Gli osservatori esterni rimangono  all’oscuro non solo dei motivi, ma anche dei fatti. Non è facile, del resto, riportarli da un punto di vista neutrale, che guardi alle cose con l’occhio di chi le conosce per esperienza diretta, ma sappia evitare il tono della denuncia e della recriminazione. Il film di Gabli, Louvet e Peyrard prova a giocare la carta del contraddittorio, coinvolgendo i protagonisti della battaglia e gli analisti esperti, cercando di non risparmiare a nessuno accuse e critiche e spargendo in ogni direzione il seme del sospetto. Eppure la visione d’insieme risulta mal bilanciata, anzitutto  per via dell’utilizzo di un linguaggio eterogeneo, che assume ora la prospettiva personalistica del singolo combattente, della vittima/carnefice individuale, ora quella del sistema ideologico, dell’apparato di potere, del pensiero collettivo disumanizzato (il franchismo, la catalonofobia, l’indipendentismo). Ne scaturisce una mescolanza un po’ surreale, che si lascia grottescamente striare di venature epiche, sentimentali, o magari ironiche. La questione da discutere, alla fine, diviene, suggestivamente, una storia bizzarra, interessante in virtù del suo esito incerto. Finisce per prevalere il registro narrativo, in cui la testimonianza è a volte un racconto aneddotico,  altre volte una confidenza, altre ancora suona come una sentenza; tuttavia, pur nella varietà dei toni, ciò che si propone è una soggettiva e perentoria linea di demarcazione fra il torto e la ragione.  L’universo sembra un confuso collage, diviso a metà. Tutti appaiono nettamente schierati, per convinzione o per destino, mentre un farsesco chiacchiericcio prende il posto del dramma di una realtà dilaniata.   Del resto – si potrebbe obiettare - il tanto invocato dret a decidir richiede, con una scheda, di scegliere fra due parole, fra un sì e un no. Una semplificazione verbale e procedurale che non deve, però, condizionare la lettura della situazione, fermandola all’immagine bicolore della superficie: un bianco e nero impreziosito dall’illusorio luccichio dei proclami  e dei si dice.

 

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