Regia di Massimiliano Russo vedi scheda film
Non si capisce se ci sia più megalomania o assoluta inconsapevolezza dei propri, enormi limiti, o magari entrambe le cose quando ti trovi davanti a un film che vorrebbe essere "d'autore" come questo. Fatto sta che con Transfert il cinema italiano si arricchisce di un titolo che dal ridicolo lo spinge sempre di più verso il tragico. E dai allora a rimpiangere i Vanzina, Nando Cicero e Bruno Corbucci, tutti passati a miglior vita con più onore di quanto non faccia questo smargiasso che risponde al nome di Massimiliano Russo, da Catania, capace di assegnarsi anche un posto da coprotagonista con rigoroso e ostentato accento siculo in un film che di verista non ha assolutamente nulla. La storia - talmente ridicola da invocare lo spoiler - è quella di un falso psicanalista (Mica) che ha in cura due sorelle dalle quali deriva un gioco di specchi sottolineato con allegorie talmente ingenue da suscitare tenerezza. Al film manca la minima sintassi filmica, la musica (di Ray Hermanni Lewis) è invadente, la recitazione meno che amatoriale e i contenuti dei dialoghi da bigino di psicanalisi. Un esempio fulgido dell'abisso che talvolta riesce a toccare il nostro cinema.
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