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Il tassinaro

Regia di Alberto Sordi vedi scheda film

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La recensione su Il tassinaro

di lamettrie
7 stelle

Un film interessante, sottovalutato. Innanzitutto non è un film bonaccione: il quadro è molto più disturbante (tentati suicidi, droga, violenze familiari, il sesso con i guardoni, la critica all’arroganza di certi ricchi…), specialmente in un ’83 in cui cresceva esponenzialmente l’idiota edonismo commerciale. Un Taxi driver alla romana, in cui il tassinaro è rotto a ogni esperienza. Vede di tutto, e mantiene ciononostante la sua dirittura morale, pur con i propri limiti; ma non scende sotto un certo livello. Da maschio latino vuole fare il seduttore, ma senza mai abbassarsi a qualcosa di cui si deve vergognare. Specie sul lato sentimentale, ha le sue debolezze, tipicamente mediterranee e anche un po’ patetiche; ma alla fine vuol bene alla moglie, e in generale alla famiglia: è questa sua moralità semplice di fondo che tiene assieme la loro vita, nella denuncia di modelli corrotti, benché tipici di categorie più desiderabili socialmente (certi ricchi…).

L’aspetto più lodevole del film, che gli vale un plauso pur nella semplicità dell’impianto, resta la sua volontà di nascondere il mondo reale alla sua famiglia: per vivere bene, lui e i suoi cari, c’è bisogno di stare al riparo dal marciume di un certo mondo civilizzato.

E non c’è neanche troppa semplificazione, in questa ovattante fuga dalla realtà: la moglie non è contenta, di essere solo un ingranaggio utile alla famiglia; vorrebbe essere di più, sente la sua frustrazione, che esplicita nel modo grottesco che si vede. Comunque il calore familiare è un importante dato psicologicamente positivo, pur nella consapevolezza dei limiti di ciò, quando lo si interpreta in modo troppo semplificatorio: le scene a tavola sono di sanità contagiosa. Ma, appunto, c’è anche la critica della limitatezza della famiglia imbesuita davanti alla tv: l’evasione tramite Dallas, e gli sceneggiati televisivi in generale, è un ritratto agghiacciante dell’incomunicabilità e della bassezza di tante famiglie, italiane e non solo. E Sordi stigmatizza ciò. Esattamente come valorizza l’investimento sullo studio dei figli: la tipica promozione sociale da parte di un famiglia di illetterati, che almeno lì mostra qualcosa di positivo, proprio nella valorizzazione culturale dei figli, che a se stessi, e alla loro generazione, era stata preclusa.

Un’accorata umanità lo rende alleato di casi all’apparenza infelici (la madre – prostituta, la ragazza che minaccia il suicidio per le violenze del padre). La stessa umanità lo rende indisponibile a tante situazioni squallide: gli sposini di Omegna (un caso reale di approfittatore trentenne, che è convolato a nozze con la ottantenne miliardaria); l’americano che sfotte gli italiani con aria di superiorità (un apprezzabile classico di Sordi, che certo non gli ha però mai attirato grandi simpatie).

L’unica nota stonata è l’intervento di Andreotti: posticcio, come del resto era il mondo democristiano, così falso. Sordi con lui parla da sempliciotto, che non sa cogliere fino in fondo gli inganni di quella politica dominante.

Ma resta, nel complesso, il ruggito di dignità del vecchio guerriero: Sordi, piccolo italiano che mantiene la grinta per non abbassarsi allo squallore e alle umiliazioni della vita. Memorabile la sua risposta dignitosa contro la volgarità offensiva del ricco sceicco: per tali risposte lui rinuncia ai soldi. A suo modo, un italiano controcorrente. Forse per questo la critica nostrana lo ha sempre eccessivamente tartassato, accusandolo di bassezza culturale. Invece, culturalmente, il messaggio c’è, ed è significativo: ma non dalla parte delle elite.

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