Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
Costa. Laccabue. Ligabue. Una vita in itinere. Due famiglie, nessun padre, tre cognomi, abbandoni e ritorni di madre. Fin da piccolo fissava per ore senza parlare i conigli. Imitava il suono e i movimenti di oche, galli e galline con cui amava indugiare nei pollai.
Costa. Laccabue. Ligabue.
Costa. Laccabue. Ligabue. Una vita in itinere. Due famiglie, nessun padre, tre cognomi, abbandoni e ritorni di madre.
Fin da piccolo fissava per ore, senza parlare, i conigli. Imitava il suono e i movimenti di oche, galli e galline con cui amava indugiare nei pollai. Si circondava di ragni e topi, gatti e cagnolini, unici esseri al mondo in grado di non ferirlo, di leggere, alleviare e tradurre la sua fortissima sensibilità, massacrata da traumi di svariata esegesi. Tutto questo amore per la natura e i suoi animali viene letteralmente trasferito da Ligabue sulla tela con coloratissimi risultati, non noti a tutti. Oranghi, gufi, tigri, struzzi, cani, tutte le specie di natura, flora e fauna. Un pò come fece il francese, noto come Il doganiere, al secolo Henri Rousseau (1844-1910), ma in versione più ruspante, meno esotico, più carnale e primitivo nel gesto, nei tratti pittorici e sempre naif, sia nella vita intima che nei risultati artistici. Innamorato delle moto e dei bambini, forse per il senso di libertà e purezza che entrambi emanano, Ligabue ci appare come un Elio Germano sorprendente, vincente in un'assonanza, anche fisica, fatta di pose, scatti verbali e locuzioni dialettali.
Presentato alla Berlinale 2020, il film racconta il dolore di un'anima diversa, Antonio Costa (1899 – 1965), il Van Gogh italiano, nato a Zurigo e vissuto in Italia, tra le zolle di Gualtieri, in una forte storia di inclusione, riconoscimento dell'io più profondo, applicato al suo divenire artista, sia quindi verso di sè che degli altri. In un autentico percorso di ricerca, si esplora l'uomo, il suo straniamento geografico, animico, intellettuale; abbandonato dai genitori, cacciato dalla Svizzera, in un percorso linguistico interessantissimo in cui al dialetto locale, reso perfettamente da Germano, si mescola il tedesco a locuzioni o versi incomprensibili nella parte più primitiva dell'artista fauve, che sentiva animali e natura vicinissimi a sé.
In sala dal 07 marzo con 01Distribution Elio Germano rende un Ligabue eccezionale, poco noto alle folle, persona emarginata. Curvo. Piccolo. Scheletrico. Chino su sé stesso. Pieno di tic e fobie. Abbandonato a vivere tra gli animali, nella terra, anche questa un'interpretazione da Oscar: viva, vera, senza sovrastrutture con una naturalezza e una sensibilità fuori norma. Germano già con San Francesco e Leopardi aveva stupito e sembra proprio che il calibro di grandi artisti, sia letterari che pittorici, calzi a pennello sulla sua pelle e sulla sua anima. Seppur sempre ben guidato, da Martone prima, da Diritti poi, la naturalezza, la grazia, la fisicità con cui riesce ad entrare nei protagonisti sventurati, ma geniali è catartica.
E nello sfondo di un’Italia che sembra quella di oggi, povera e impaurita, rurale, negli anni 40-50, campagna e ignoranza, meta di paure radicate nel primigenio medioevo, dello straniero e del diverso, pure immigrato, matto, cinese o col coronavirus è uguale, la Padania con la sua simpatia, dimostra poi generosità e comprensione, inclusione appunto verso un genio dell'arte, che ha saputo affrancarsi attraverso la creazione e, solo con essa, salvarsi.
Film potente, imperdibile, utile al risveglio di tutti quelli che vivono nella materia e non sanno cosa sia l'arte, quali torture le siano connaturate. Con una direzione impeccabile e curata di tutti gli attori, perfetti nei ruoli, nei visi, nei movimenti, nei costumi e nell'eleganza formale, una fotografia lisergica, come i quadri di Antonio, a grandangolo come la prospettiva di vista e vita che tutti dovremmo acquisire, (tanto più sulla diversità e l'ascolto), ma ricca di immagini, ahimè spesso sfuocate ai lati, come la visione obnubilata di molti che lo giudicarono e condannarono a insulti e sofferenza, la pellicola merita anche come documento e omaggio se non altro al dolore di un grande essere umano che non si arrese e affermò coi denti la propria vena espressiva.
Costi quel che costi. Ops Costa. Antonio. Detto Laccabue, meglio noto come Ligabue.
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