Regia di Yoji Yamada vedi scheda film
Quando pensiamo alla Seconda Guerra Mondiale, anche per una mera questione geografica, abbiamo la tendenza a immaginare le vicende avvenute in Europa e dunque anche la “nostra” filmografia è ricca di pellicole che affrontano le varie tematiche del conflitto. Il fronte giapponese, in realtà, è stato altrettanto significativo e anche nel Paese del Sol Levante, come nel Vecchio Continente, il prezzo più alto è stato pagato dalla popolazione, prima con un regime particolarmente autoritario, poi con le restrizioni alimentari e infine con l’immane tragedia di Hiroshima e Nagasaki.
Il film di Yoji Yamada ripercorre proprio le varie tappe del conflitto ma lo fa lasciandolo sullo sfondo e soprattutto intrecciandolo con la vita della famiglia formata da Shigeru, sua moglie Kabei e dalle loro due figlie. Per loro, l’esistenza già complicata, è resa ulteriormente difficile dall’arresto del capofamiglia, accusato di avere idee troppo liberali (anche a queste latitudini negli anni ’30 e ’40 del Novecento la libertà di pensiero non era vista di buon occhio…) e per questo rinchiuso in carcere.
Sarà così Kabei, che di professione fa l’insegnante, a caricarsi sulle spalle il peso della famiglia, tra rinunce, privazioni e l’aiuto di un ex studente del marito e della cognata, sempre con l’orgoglio tipico delle donne di questa terra, e difendendo strenuamente il proprio matrimonio, anche quando questo significa rinnegare il proprio padre.
Parliamo di un film molto drammatico ma è girato con una delicatezza e un garbo tipicamente orientali, con numerose sequenze all’interno dell’appartamento che, come tutti quelli tipici giapponesi, sembra perfetto per fungere da set, incorniciando i personaggi e conferendo al tutto un che di teatrale. Il regista poi ha sicuramente fatto proprio l’insegnamento del maestro Ozu (di cui tra l’altro ha realizzato, nel 2013, il remake di Viaggio a Tokyo), con lunghi piani sequenza con telecamera posta a livello del pavimento.
Il film, visto in lingua originale con sottotitoli, nonostante la sua lunghezza e il dramma che lo pervade, risulta estremamente godibile, ben sapendo come la narrazione e i ritmi siano diversi da quelli a cui il cinema americano ci ha abituati.
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