Regia di Daniel Farrands vedi scheda film
Una versione "alternativa" della tragica strage compiuta da Charles Manson al 10050 di Cielo Drive.
"Tutto quel che vediamo, quel che sembra, non è forse un sogno dentro un sogno?" (Edgar Allan Poe)
9 agosto 1969. Il telegiornale trasmette notizie sul terribile massacro di Cielo Drive 10050: vittima Sharon Tate, la moglie -incinta di otto mesi- del regista Polanski, e tre suoi amici.
Rewind temporale, con un salto di circa un anno, sino al 1 agosto 1968: Sharon Tate fa un terribile sogno, ambientato nella lussuosa villa in prossimità di Hollywood, in progetto di divenire la futura dimora della coppia. Ha la visione di un uomo inquietante, che le appare di notte, in ombra, sulla porta finestra di casa. Successivamente vede due corpi insanguinati, legati con corde e penzolanti dal soffitto: uno dei due ha il suo stesso volto.
8 agosto 1969. Polanski è lontano per concludere la sceneggiatura di un film, mentre tre amici di Sharon le fanno compagnia. Mentre le ore passano, la donna ha strane sensazioni, animate dalla presenza di nastri musicali fatti recapitare da Charles Manson, un cantante fallito, convinto che la villa sia ancora abitata dal produttore discografico che lo ha trascurato.
"Mi piacerebbe essere una Principessa delle fate. Una piccola bambola d'oro con le ali sottili, in un vestito di voile adornato di vivaci cose lucenti. Lo vedo come qualcosa di totalmente puro e bello. Penso che tutta la mia vita sia stata decisa dal destino. Non ho mai pianificato nulla che mi sia mai accaduto." (Sharon Tate)
Citato in occasione dell'esordio in regia di Daniel Farrands (The amityville murders), The haunting of Sharon Tate si presenta come film di elegante confezione, caratterizzato da una direzione attenta al dettaglio, nonché da un uso dinamico della macchina da presa, resa fluida nei movimenti da delicati carrelli (frutto dell'operatore Carlo Rinaldi, attivo in tale ruolo anche in Angeli e demoni). Rimangono bene impresse anche le visionarie dissolvenze (eccezionale la sintesi visiva dello scorrere del tempo, da giorno a notte, con vista panoramica su Hollywood). Farrands, anche autore dello script, decide di rendere un delicato omaggio alla memoria delle sventurate vittime di Manson e lo fa impostando un tipo di storia che, pur ispirata dalla triste cronaca (con foto e filmati d'epoca e persino con una citazione "premonitrice" della Tate), si sviluppa in un mondo di utopistica giustizia, anzi meglio: si manifesta in maniera illusoria, traditrice e falsa (proprio come la realtà) affacciandosi timidamente da uno degli infiniti universi quantistici.
"Pensate che sia possibile cambiare il corso del nostro destino? O la nostra storia é solo il nostro libro, scritto prima ancora che fossimo nati?" (Sharon)
L'idea sorprende, e coglie decisamente l'attenzione: il prefinale si manifesta in una sequenza di eventi opposta ai fatti storici, e a cadere in maniera violenta sono proprio i componenti della "Manson's family". Questo incredibile risvolto, che muove dall'idea di una evoluzione drammatica "parallela" (poi però negata nel lirico e straziante finale) è il vero punto di forza della sceneggiatura. Ma Farrands può contare su altri contributi di rilievo, a cominciare dalla presenza di Hilary Duff, famosa cantante e attrice qui -oltreché coinvolta nella produzione- in grado di calarsi con sentita malinconia nel ruolo di Sharon Tate. Mentre la colonna sonora mai invasiva, rumorosa o eccessiva, accompagna i passaggi più delicati con tono dolce, romantico e al tempo stesso malinconico. Alla seconda regia, Daniel Farrands dimostra una grande professionalità, limitata in parte (esattamente come era accaduto per The Amityville murders) da un soggetto poco popolare, poco innovativo e incline a un tipo di pessimismo pressoché incontrastabile (ma questo non è detto essere un difetto, tutt'altro).
"Penso che ci siano scelte infinite, realtà infinite, probabilmente stiamo vivendo versioni diverse della nostra storia per... chi lo sa? Probabilmente per sempre, finché non facciamo bene."
“La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente.” (Albert Einstein)
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