Regia di Joe Berlinger vedi scheda film
Pochi spunti carini in un film dalla regia caotica e con una sceneggiatura disastrosa.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Ted Bundy – Fascino criminale è un film diretto da Joe Berlinger, regista che ha dimostrato grande interesse per la mente criminale già in altri suoi lavori, perlopiù documentari. Questo è il suo secondo tentativo nel lungometraggio di fiction e, a giudicare dal risultato, sarebbe meglio che torni a concentrarsi nel genere per cui è più propenso (vanta infatti una nomination all’Oscar per il miglior documentario).
Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile (questo il titolo originale) racconta gli ultimi vent’anni di vita del serial killer Ted Bundy, incentrandosi sul rapporto amoroso tra quest’ultimo e la compagna Liz Kendall. Quando si decide di fare un’operazione del genere, ovvero narrare la storia vera di un assassino dal punto di vista suo o di un suo caro, provando quindi ad umanizzarlo, bisogna tenere a mente due cose essenziali: caratterizzare bene il personaggio e non perderne di vista la reale natura. Entrambi questi elementi sono in deficit nell’opera di Berlinger, che non riesce a sfruttare un protagonista potenzialmente affascinante e, ancor più grave, non sembra neanche volere trasmettere allo spettatore la malvagità e la portata delle azioni da lui compiute. Il primo colpevole è lo sceneggiatore Michael Werwie: il suo script è pessimo, estremamente superficiale nel trattamento dei personaggi, artefatto nella maggior parte delle dinamiche relazionali che prova a costruire, ma a conti fatti lascia abbozzate.
Di conseguenza, a far le spese del disastroso copione sono innanzitutto gli interpreti, che regalano al pubblico prove mediocri e non degne del loro talento. Prova lampante ne è il piccolo ruolo di John Malkovich, che ha evidentemente preso la parte come una “gita pagata” sul set, limitandosi al minimo sindacabile per portare a termine il lavoro, lesinando qualche battuta umoristica e dando il la alle arringhe finali di uno Zac Efron a tratti ispirato, che ci prova in tutti i modi a tenere in piedi la baracca, ma soffre e non riesce a reggere il personaggio nelle parti più drammatiche (dove regia e montaggio intervengono troncando i momenti in cui il pathos avrebbe dovuto culminare). Lily Collins ed Haley Joel Osment subiscono i personaggi più martoriati da una scrittura approssimativa e da un editing da mani nei capelli: in una scena che li vede protagonisti in particolare, ma anche in altri momenti della pellicola, ci sono discordanze visive su diversi raccordi contigui. Per finire, la regia è spesso caotica e, ovviamente, la direzione degli attori è inesistente.
A dirla tutta, questo Ted Bundy – Fascino criminale ha pure qualche spunto carino. Il processo finale, per esempio, prende una deriva comica che sfocia quasi nell’assurdo, genere nel quale Efron si trova molto più a suo agio: il suo Bundy diventa quasi un Silvio Berlusconi preistorico nel tentativo di salvarsi la pelle sfruttando il suo appeal e la copertura mediatica data alle ultime udienze in tribunale. Peccato che Berlinger non abbia provato a focalizzarsi sull’importanza che ha avuto per la società occidentale l’aver trasmesso in televisione un evento del genere, anche perché di spunti sul senso dell’apparire il film ne lancia molti, così come calca la mano sulla bellezza estetica del serial killer. L’autore punta invece sul lato tragico della vicenda, sbagliando, siccome il pathos necessario nel finale non è stato costruito a dovere lungo l’intero arco dell’opera.
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