Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Due sono le cose che mi renderanno sempre instintivamente simpatico Wim Wenders. La prima è il suo amore per il rock in generale e i Credeence Clearwater Revival in particolare. La seconda è appunto la passione per il cinema di Ozu. Il mio rapporto con il suo cinema rimane quantomeno contradditorio , in generale lo ritengo un autore troppo fumoso e sbrodolone per i miei gusti. Quando va a Tokio per omaggiare il maestro scomparso da vent'anni si libera di tutti gli orpelli del suo cinema, realizzando un documentario che rinuncia agli svolazzi per cercare di ritrovare la città di Ozu nei suoi momenti di normalità. Troppo è il rispetto per il regista giapponese, i suoi attori e collaboratori per non cercare di restituire quella semplicità familiare e intima che lo contraddistingueva. Nella forma documentaristica il viaggio del regista tedesco deve arrivare ad un punto, non può girare a vuoto , non può restare sospeso. Il viaggio a Tokio diventa il modo per scoprire quanto è cambiata, quanto è diventata simile alle città occidentali, per questo appunto ogni metropoli è il centro del mondo,dove ogni cosa può essere imitata e riprodotta anche se il senso ne risulterà stravolto. Il cinema di Ozu opponeva a questo la forza della tradizione culturale del suo paese come stratificazione e ripetizione di gesti quotidiani. L'accumulo di momenti ordinari unito ad una tecnica lineare di ripresa crea il miracolo di una monotonia armonica che non ha termini di paragone nel cinema. Documentario prezioso su un regista fondamentale fatto da un regista che mai come questa volta farà coincidere forma e sostanza, immagioni e parole, sacro e profano.
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