Regia di Gilles Lellouche vedi scheda film
Arrivato alla sua terza regia, il primo senza essere affiancato da un altro collega, Gilles Lellouche, anche autore della sceneggiatura insieme a Ahmed Hamidi e Julien Lambroschini, più che alla commedia di tradizione francese guarda piuttosto, pur non aderendovi completamente, a un certo cinema americano o comunque di lingua inglese comunemente chiamati “feel good movies”(l’esplicito referente di 7 uomini a mollo è innegabilmente il britannico Full Monty di Peter Cattaneo) con la possibilità quindi di giocare attraverso una commedia corale con un tema che sembra comprendere piuttosto bene come la “crisi del maschio”, francese come anche di ogni altra latitudine.
L’analogia con il precedente inglese è innegabile: un gruppo di uomini non particolarmente giovani che rappresentano l’opposto del maschio “Alpha”, disadattati e/o perdenti messi ai margini della società e in perenne crisi depressiva che cercano di non lasciarsi troppo andare nonchè la progressiva riconquista della propria autostima attraverso il più improbabile delle soluzioni (nel film britannico uno spettacolo di spogliarello, in questo il nuoto sincronizzato ma in entrambi i casi discipline più convenzionalmente indirizzate al genere femminile che non a quello maschile) con tanto di riscatto finale con toni tra l’epico e il sentimentalistico, per quanto la vittoria non li renda improvvisamente più belli o persone migliori quanto più sicuri di se stessi e quindi meno vittime della realtà di tutti i giorni.
In questo senso, simbolicamente ,non c’è elemento migliore dell’acqua per rappresentare la rinascere a una nuova vita e per raccontare il riscatto di un gruppo di uomini non c’è, cinematograficamente parlando, mezzo più idoneo che romanzandolo attraverso una vicenda sportiva.
Da qui la scelta di Lellouche di una improbabilissima squadra di nuoto sincronizzato per il suo racconto di riscatto generazionale.
Le caratterizzazioni dei vari personaggi permette poi al regista di variarne i toni, passando dal grottesco al farsesco o all’intimismo, alternandone i vari momenti senza appesantire troppo la vicenda ma cercando continuamente di intrecciare, come nelle migliori commedie, il divertito con il drammatico ma non sempre riuscendovi anche a causa di una regia fin troppo schematica e che, seppur efficace quando si tratta di riproporre i codici del cinema sportivo tra sacrifici, tensione agonistica e lo sport come la solita palestra di vita, specie nei momenti di maggiore complicità maschile, perde invece parte del suo nerbo durante la sue parentesi più drammatiche o sociali.
Peccato poi per un finale troppo favolistico e celebrativo (per me niente affatto necessario ma immagino che sia intervenuta la solita “grandeur” francese a imporre la sua volontà) nel quale si vengono a ricomporre tutte le fratture e arriva il perdono per tutti i personaggio in un modo fin troppo conciliatorio.
Nel cast oltre ad alcuni tra i maggiori rappresentanti del Cinema francese (quasi davvero una specie di nazionale francese) tra cui Mathieu Almaric, Guillaume Canet, Jean-Hugues Anglade, Benoit Poelvoorde non bisogna dimenticare gli esponenti di una compagnia femminile altrettanto importante tra cui la splendida Virgiania Efira, Leila Bekhti e Marina Fois in ruoli anche più forti e decisi (oserei dire più evoluti) rispetto a quelli ben più fragili dei suoi protagonisti maschilii.
VOTO: 6
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