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Green Book

Regia di Peter Farrelly vedi scheda film

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La recensione su Green Book

di genoano
7 stelle

Un donchisciottesco pianista nero e il suo autista/body guard italoamericano, sorta di Sancho Panza del Bronx, sfidano i mulini a vento del razzismo in una tourneè/odissea nelle terre del segregazionismo. Non cambieranno il mondo ma diverranno amici. Gradevole, ben interpretato, edulcorato, non molto originale. Voto 6 e mezzo.

La lunga serie di concerti tenuta nel rovente Sud degli USA del 1962 da un virtuoso del pianoforte, l'afroamericano Don Shirley, viene vista in questo film come una sorta di "missione civilizzatrice" alla Cervantes : aprire le menti e i cuori della gente attraverso il potere della musica, contribuire ad abbattere barriere e a cancellare discriminazioni con la suggestione dell'arte. Missione che non sarebbe stato possibile neanche tentare senza il decisivo contributo di una figura nell'ombra, Frank Vallelonga, un bouncer, un buttafuori dei night club di New York, addestrato all'arte della sopravvivenza, capace di riconoscere il pericolo e sinistramente abituato ad affrontarlo, usando, e dosando, la violenza, se necessario. Farrelly basa tutto il racconto sul confronto tra due individui che sono l'uno l'opposto dell'altro sotto molteplici aspetti, eppure affrontando insieme difficoltà e ingiustizie imparano a comprendersi, a rispettarsi e a fare squadra, e infine diventano amici; il regista fa prevalere nettamente (come logico aspettarsi dal suo curriculum) la commedia sul dramma, ed evita scene troppo crude ed esplicite pur mostrando i terribili effetti delle leggi Jim Crow su ogni aspetto della vita sociale; in questo senso la saggia valutazione gastronomica di Frank che afferma che un piatto è buono non se è molto salato ma se trae gusto da altri fattori più delicati, come le spezie e la qualità degli ingredienti, sembra essere una "dichiarazione di poetica". Tuttavia in cucina non bisogna esagerare col sale, ma neanche con lo zucchero; sotto questo aspetto gli autori non sono stati irreprensibili, e tutta la parte finale risulta parecchio dolciastra ed ottimistica ("basato su una storia vera con aggiunta di un bel po' di zucchero", potrebbe essere la dicitura corretta); ogni spigolo della storia viene smussato e levigato come la pietra di giada al centro di alcune gustose scenette, e più che ad "A spasso con Daisy", che verrebbe subito in mente con una trama di questo tipo, l'operazione pare ispirarsi parecchio a "Un biglietto in due", soprattutto nella seconda parte e persino, per certi versi, rimanendo nella filmografia di Steve Martin, a "Il testimone più pazzo del mondo". Eccellenti le interpretazioni del malinconico Mahershala Ali e di Viggo Mortensen in un'inedita versione "paisà".

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