Regia di Peter Farrelly vedi scheda film
Usa, anni ’60. Un pianista afroamericano cerca un autista per affrontare un tour nel sud del Paese, ancora fortemente razzista. Si propone Tony, italoamericano pieno di difetti, ma altrettanto abituato agli stereotipi discriminatorii.
La storia di partenza è vera, tant’è che uno dei tre sceneggiatori è il figlio di quel Tony Lip rappresentato sullo schermo dall’ottimo Viggo Mortensen; oltre quindi all’appena citato Nick Vallelonga, sul copione mettono le mani Brian Currie e il regista Peter Farrelly, per la prima volta senza il fratello Bobby al suo fianco (al cinema; mentre per la tv aveva già diretto ‘in solitaria’). Green book prende il titolo dalla guida che negli anni Sessanta indicava i locali del sud degli Stati Uniti – ancora pesantemente razzista – nei quali venivano accettate le persone di colore; ma non si tratta ‘solamente’ di un film sulle discriminazioni dei bianchi nei confronti dei neri, quanto più in generale su tutti i razzismi e i pregiudizi che ci coinvolgono quotidianamente ancora oggi e qui. La dimensione del racconto, fuori dal tempo e dallo spazio, lo rende una parabola efficace e la forza del messaggio viene parzialmente sminuita soltanto dal finale facilotto e accomodante, scelta soggettiva da parte degli sceneggiatori che trascina la vicenda in territori fiabeschi. Ciononostante nel corso delle due ore della pellicola non mancano i momenti rudi, veristi e perfino violenti, a testimonianza di una ricostruzione fedele di un’epoca e di un ambiente distanti sulla carta, ma sostanzialmente vicini a noi; convincente anche il pianista interpretato da Mahershala Ali, con cui Mortensen forma una vivace e funzionante accoppiata. Tre Oscar: ad Ali, alla sceneggiatura e come miglior film limitatamente al territorio Usa. 6/10.
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