Regia di Peter Farrelly vedi scheda film
Green book è un bel film? Direi di sì.
Il migliore dell'anno? Non a mio avviso.
È un prodotto ben confezionato in cui tutto è fatto a regola d'arte ma che, onestamente, è stato, programmato a tavolino con troppa meticolosità. Le stesse polemiche che ne hanno accompagnato la produzione e l'uscita sono riconducibili ad una strategia che mettendo in dubbio, ora qua, ora là, l'autenticità del rapporto reale tra Shirley e Vallelonga, ha reso ancora più appetitosa la consumazione finale da parte di un pubblico stuzzicato dall'opportunità di patteggiare, in base alle proprie simpatie, per una fazione (gli eredi di Shirley) piuttosto che per l'altra (la famiglia Vallelonga).
Il film è tratto dalla sceneggiatura di Nick Vallelonga scritta dopo la morte del padre Tony e del musicista afroamericano Don Shirley che condivisero una turnè nei primi anni '60 nel "profondo" Sud degli Stati Uniti. Vallelonga ha affermato di aver rispettato le volontà di Don Shirley che non voleva si parlasse di lui finché fosse stato in vita. Non potendo Shirley (deceduto nel 2013) avvalorare l'operazione, ne tanto meno difendersi da inesattezze, mezze verità o menzogne, paiono un tantino sospetti i tempi in cui il racconto è stato confezionato. È stata la famiglia del compositore, un fratello ed una nipote, mai consultati da Nick, a gettare ombre sull'onestà dello scrittore attraverso dichiarazioni volte a screditare le verità raccontate quali il presunto allontanamento dalla famiglia d'origine o l'omosessualità palesata.
Ormai sepolti i dettagli di quel viaggio e di quell'amicizia non sapremo mai quanto ci sia di vero nel film di Peter Farrelly. Al netto, tuttavia, di queste questioni che hanno messo le due famiglie l'una contro l'altra il film funziona. Farrelly, che non è certo un grande autore, dirige senza picchi di originalità e si aggrappa alla bravura dei due protagonisti, Viggo Mortensen e Mahershala Ali, sulle cui spalle poggia l'intera baracca. Mortensen sovrappeso e sfigurato è perfetto nella parte dell'indolente autista del Bronx mentre Ali recita con compostezza cercando di dare vita ad un personaggio decisamente più sfaccettato ed interessante di quello interpretato dal collega. Direi che Mortensen ha avuto vita facile nei panni, quasi caricaturali, dell'italo-americano ignorante ma scafato. Più difficile svelare l'emotività rinchiusa in un personaggio ermetico e controllato come il pianista, persona assolutamente fuori dagli schemi in quello spicchio di secolo in cui gli uomini di colore non erano colti, ricchi, e dovevano il loro successo, sempre e comunque, all'elite bianca del paese. La sceneggiatura è vincente fintantoché sceglie di concentrarsi sull'evoluzione del rapporto tra i due uomini che vede l'italoamericano in una posizione di inaspettato subordine. Forse la terna Farrelly/Vallelonga/Currie avrebbe potuto limitarsi alla forza introspettiva del racconto senza forzare la mano con una serie di avvenimenti limite (la telefonata di R.F.K. o la sequenza del gabinetto) piazzate lí a titolo didascalico e ricattatorio. Troppe cose perché potessero capitare tutte insieme non hanno giovato, a lungo andare, sull'economia complessiva. La parte conclusiva del film, la più empatica, inizia dalla decisione di saltare l'ultimo concerto in segno di protesta e giunge all'apice con il divertente abbraccio tra Don e Dolores a sancire la fine di una storia commovente ma equilibrata nei toni, che non rivendica i diritti dei neri con i motti violenti delle pantere nere, non scontenta troppo la supremazia bianca appagata da un finale rassicurante e all'acqua di rose, infine cerca la più universale benedizione del pubblico. God bless America dunque, qualunque sia il colore. Tecnicamente da Oscar nella ricostruzione dell'epoca (dalle musiche ai costumi fino alle automobili), troppo politically correct nella visione d'insieme, tira fuori il meglio di sé nella descrizione di un'amicizia ingombrante e assoggettabile alla pubblica gogna che matura pian piano spazzando via i pregiudizi. In questo il film di Farrelly è quanto mai prezioso e lascia intravvedere, quanto meno, la possibilità che le barriere culturali e razziali, possano essere (e debbano essere) abbattute dai singoli. Solo così la società, nel suo insieme, può evolvere pian piano in un crescendo positivo.
Cineforum Leoniceno - Cinema Eliseo - Lonigo (VI)
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