Regia di Peter Farrelly vedi scheda film
L' academy non ha mai brillato più di tanto nel distribuire nomination e premi lungo la sua storia, è la massiccia inclusione di donne, afroamericani e minoranze varie nella giuria, non ha prodotto al momento risultati tangibili, se non che dal premiare polpettoni di stampo classicheggiante, si è passati a dare premi e nomine a volontà, per film a tematica "civile" riguardanti specialmente persone di colore, gay o donne. Nulla di male in sé, il problema è che l'academy continua a nominare prodotti innocui.
Certo, rispetto a roba inguardabile ed ammuffita già prima di essere concepita come Precius (2009), Selma (2014) o Moonlight (2016), Green Book di Peter Farrelly è avanti anni luce.
Premetto subito che non è niente di che come film, eppure per gli standard attuali di tale vetusta istituzione, sembra essere quasi un atto eroico aver nominato un film che ha si tematica civile, ma ha spruzzate qua e là di politicamente scorretto (ma senza esagerare).
Farrelly autore anche della sceneggiatura, dirige un film ambientato ad inizio degli anni 60, ribaltando i ruoli tra bianchi e neri. Questa volta l'uomo di colore, il musicista Don Shirley (Mahershala Ali), è colui che detiene soldi e fama, mentre il bianco Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), è un italo-americano buttafuori spiantato, rozzo e imbevuto di cultura white-trash.
La scelta interessante è abbandonare la seriosita' tipica di tali film, per utilizzare il registro della commedia; così sfruttando i battibecchi costanti tra un impostato quanto altezzoso Don Shirley, ed il rozzo, sboccato e cafone Tony che gli fa' da autista nel profondo sud degli Stati Uniti.
In alcuni momenti, è come se si riesumasse la vecchia screewball commedy di una volta, solo che abbiamo al centro bianco e nero.
Farrelly non ha il coraggio di mettere come protagonista un bianco americano, cosa che avrebbe potuto dare maggior forza a certe vedute differenti, ma aver optato per un italo-americano, gli consente di tirare frecciatine e stoccate al politicamente corretto e ad una certa visione sui neri, che i bianchi hanno, senza dover subire critiche, poiché il personaggio di Viggo Mortensen, è si bianco, ma fa' parte comunque di una minoranza, quindi può dire quello che gli passa per la testa (a patto di non essere troppo cattivo), senza che lo spettatore americano possa rimproverargli qualcosa.
Il film sotto questo punto di vista è un godibile intrattenimento, anche molto divertente, per via del personaggio protagonista azzeccato ed interpretato da un ottimo Mortensen, che per la prima volta vedo alle prese con un ruolo più leggero. Ha messo su un bel po' di panza (Il personaggio ama mangiare a volontà cose non buone e fuma un sacco), ma le sue doti attoriali non sono oscurare da ciò è riesce a non scadere nella macchietta, cambiando quando può un po' il registro ed il tono in cui ripetutamente mostra la sua cafonaggine, senza venire a noia nella sua arte oratoria. Mahershala Alì, risulta perdente nel confronto, troppo altezzoso e rigido nella recitazione, oltre al fatto che è decisamente da bocciare il suo ingresso in scena con quei ridicoli vestiti, che fanno tanto da caricatura del Senegalese ambulante. Andrebbe visto in lingua originale, poiché sembra palese come la differenza tra i due personaggi verta più sul modo di esprimersi, che sul colore della pelle.
In effetti il film è infarcito di stereotipi; a cominciare dagli italio-americani sono tutti ritratti come dei simpatici simil-gangster da strapazzo, tutti rigorosamente fuori forma, buone forchette e con dei valori strambi (tutti in casa della moglie del protagonista, poiché due persone di colore stanno riparando l'impianto idraulico della moglie e controllano che nulla le accada...), si ok, il film ci gioca un po' su questo, ma alla fine rappresentare gli italo-italo-americani in questo modo non è avvalorare lo stereotipo?
Dopo una prima parte più genuina e divertente, dove il regista raggiunge l'apice con un campo e centrocampo dove in 4-5 inquadrature tra gli agricoltori di colore e l'elegante Don Shirley, riassume un po' l' evoluzione degli afroamericani all'interno della società americana, purtroppo nella seconda parte di film, abbondano le sequenze scontate con poliziotti bianchi razzisti, elogio incondizionato ai Kennedy ed episodi di insofferenza razziale, rappresenti in modo scolastico e rivisto ed il tutto si conclude in un conciliante finale alla Frank Capra, che finisce con lo smorzare le battute e le prese in giro precedenti.
Tutto sommato una pellicola sufficiente, che regala un paio d'ore di divertimento e gustose risate, ma Spike Lee quest'anno sempre in ambito razziale, aveva adoperato un registro satirico di tutt'altro livello e una regia decisamente superiore.
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