Regia di Peter Farrelly vedi scheda film
Festa del cinema di Roma – Selezione ufficiale.
Per essere prolifico, un rapporto tra due individui deve funzionare in entrambi i sensi di marcia, prevedendo un’iterazione equilibrata tra dare e ricevere. Questo interscambio diventa particolarmente fruttifero sulla lunga distanza nel momento in cui le differenze tra i soggetti sono accentuate, quantunque le contrapposte posizioni di partenza necessitino di tempo e buona volontà prima di incanalarsi sulla strada maestra.
Nel sorprendente Green book convivono due personaggi distanti in ogni aspetto, rovesciando le etichette di riferimento (a comandare è un nero) e compiendo l’impresa di far ridere fino alle lacrime, nel rispetto di un contenuto che abbraccia un corposo ventaglio di tematiche, senza svilirne nemmeno una.
New York, 1962. Perso il lavoro da buttafuori, Tony Lip (Viggo Mortensen) ha urgente bisogno di trovare una nuova occupazione, al punto di accettare l’offerta di Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista afroamericano alla ricerca di un autista tuttofare, che lo accompagni in un tour nel sud degli Stati Uniti.
Tony e Don sono agli antipodi in ogni aspetto - dall’estrazione sociale all’educazione, dall’istruzione fino alle abitudini alimentari, passando per il modo generale di comunicare con il prossimo e concepire la morale – e ci vorrà del tempo prima che riescano a stabilire una lunghezza d’onda condivisa. Comunque sia, i veri problemi li troveranno lungo il viaggio, insediati nel razzismo imperante in quella parte degli Stati Uniti che hanno in programma di attraversare, ancora più evidenti e invadenti in corrispondenza di ogni tappa e relativo soggiorno.
Green Book (2018): Viggo Mortensen, Mahershala Ali
Prima di girare Green book - titolo ricavato da una guida che negli anni sessanta riportava l’elenco dei locali degli Stati Uniti del sud dove i neri erano ammessi – la carriera di Peter Farrelly era in caduta libera, da tempo senza paracadute. Lontano dai fasti della seconda parte degli anni novanta (il trittico demenziale composto da Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary e Io me & Irene, più il dissacrante Kingpin) e reduce da una serie di disastri (Libera uscita, I tre marmittoni e Scemo & + scemo 2 sono stati massacrati all’unisono), era francamente impossibile immaginare un suo ritorno in grande stile.
Invece, Green book è doppiamente baciato dalla grazia della bellezza, perché già alla sua prima mondiale ha conquistato i presenti (il premio del pubblico a Toronto è una conquista significativa) e perché imprevedibile, sia rapportato alle precedenti opere del regista, sia se parametrato con i film con cui condivide le caratteristiche, tra le quali compare anche l’ispirazione da una storia vera.
Dunque, la colonna vertebrale è costituita da un road movie, il razzismo come piaga e la contrapposizione degli opposti, destinata a produrre un’amicizia con variabile bromance. In questa circostanza, se il cosa ha il suo ruolo, ma così com’è non comporterebbe alcuno stupore, è il come a marchiare a fuoco l’intera pellicola. Che Peter Farrelly avesse una particolare predisposizione alla commedia era risaputo, che potesse calarla su tematiche del genere era tutt’altro che scontato.
Soprattutto perché fuoriesce dal demenziale puro rimanendo dannatamente comico, sfruttando due protagonisti e la loro alchimia da fuochi d’artificio, con un uomo bianco pratico, problem solving manesco, schietto e grezzo nei modi, che mangerebbe e fumerebbe da mattina a sera, contrapposto a un nero di successo, un artista dal comportamento regale, una persona solitaria che combatte a suo modo le discriminazioni razziali, senza mai perdere l’aplomb.
Tra loro scatta un affiatamento dirompente, incrementato da dialoghi scoppiettanti, che arrivano a creare concatenazioni prolungate, calembour eccezionali (ad esempio, in bocca all’ignorante Chopin diventa Joe Penn) e un’eclatante ricchezza di situazioni (attenzione alla mano lunga di Bobby Kennedy), comunque tenute costantemente serrate dalla sceneggiatura firmata dallo stesso Peter Ferrelly insieme a Nick Vallelonga e Bryan Hayes Currie, con l’essenziale contributo dei due interpreti protagonisti.
Se l’Academy non avesse un feeling praticamente nullo con la commedia (ricordate Jim Carrey e Man on the moon?), giureremmo che questo Viggo Mortensen sarebbe già di diritto nella short list dei favoritissimi come miglior attore protagonista, forte di un’incredibile trasformazione fisica, una presenza scenica irreprensibile, un gran senso dell’autoironia e, infine, un meraviglioso accento italiano (sentirgli dire «faccia di cazzo» e cantare «tu scendi dalle stelle», basta e avanza per far scoppiare il riso in una sala gremita). Anche Mahershala Ali, la leva che deve controbilanciarlo, è in gran forma, risponde colpo su colpo, ricucendo le distanze, fino ad approdare a un finale natalizio che sfonda anche la barriera dell’empatia familiare, riscrivendo l’ennesima pagina del cinema tradizionale.
Green Book (2018): Viggo Mortensen, Mahershala Ali
In buona sostanza, Green book ha un meccanismo chirurgico, automatismi di un’agilità tale da far volare i centotrenta minuti di durata e un guscio da commedia che - tra sarcasmo, sberleffo e ogni tipo di appiglio comico - introietta questioni etiche. Se la dignità trionfa sulle umiliazioni più pesanti e le spigolature sparpagliate sono inconfondibili, la palma del vincitore spetta di diritto alle persone venute dalla strada, ma anche a tutti coloro che ogni giorno combattono una battaglia contro le ingiustizie, dinamiche che riempiono uno spartito stipato all’inverosimile eppure mai sottoposto a concreti tentennamenti o rallentamenti, grazie a uno stupefacente senso del ritmo e alla capacità di trasformare in un trionfo collettivo anche un passaggio dalle stelle alle stalle.
Insospettabile e clamoroso, un autentico miracolo, una vittoria su tutti i fronti.
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Me lo segno nel calendario dell'avvento. Buona Festa (di Roma)
Imperdibile, per quanto associare questo aggettivo a un film di Peter Farrelly possa destare sospetti.
;-)
In effetti io mi sono sempre tenuto alla larga dai suoi film. Ma visti i commenti farò un'eccezione. :-D
Assolutamente doveroso farla.
:)
Poi prima che esca da noi, credo avrà già vinto una vagonata di riconoscimenti e incassato ovunque, per cui finirà su tante agende.
È davvero una pellicola sorprendente e trasversale.
Ne riparleremo sicuramente.
;-)
difficilmente ti ho sentito così entusiasta, caro Daniele; chiaro che il messaggio è arrivato...
I Festival rendono tutto più entusiasmante :-)
Roberto, hai ragione!
:)
Però una sala così inebriata dalle risate e dagli applausi finali non me la ricordo proprio (tanto più in un contesto riservato agli accrediti).
Sto leggendo solo recensioni positive di questo film. Visti i precedenti del regista (non amo le commedie demenziali) non avrei scommesso una virgola su un suo film, ma questo credo proprio che non me lo perderò.
Devi assolutamente testarlo. Come scrivevo in risposta qui sopra, non ricordo una visione con una sala altrettanto festante.
Dopo di che, ognuno ride a suo modo, però qui il sapore ha l'aggiunta di una morale plurima che, per come la vedo io, acquieta tutti i sensi.
Mi saprai dire che ne pensi a riguardo.
;-)
Me lo sono perso alla Festa di Roma per incroci di programmazione malefici... ma è stata un'attesa premiata!! ;)
:)))))
In effetti ben pochi avrebbero scommesso 2 lire su un colpo di coda di Peter Farrelly, che come fai giustamente notare anche tu, dopo i dirompenti e dissacranti inizi era andato calando verso lo zero assoluto (centrato in pieno con "Comic Movie"). Meritatissimi i premi vinti con questo "Green Book".
Ci ha riprovato con "Una birra al fronte", film dignitoso ma la magia di "Green book" credo rimarrà irraggiungibile per lui.
Mi ricorderò per sempre il clima di festa della sala quando lo vidi a Roma in anteprima, un vero trionfo che già faceva intuire le fortune che lo attendevano.
:)
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