Regia di Robert Aldrich vedi scheda film
Elsa Brinkmann passeggia per Hollywood Boulevard, ammira i nomi delle stelle del firmamento cinematografico cementate nel pavimento e si sofferma su quello di Lylah Clare. Elsa non è ancora Lylah, ma lo diventerà. La sua somiglianza con la diva del cinema tragicamente scomparsa è impressionante, e non può fare a meno di notarla Bart Langner, che era stato suo agente. Lylah aveva vissuto una tempestosa storia d’amore con il regista Lewis Zarkhan, ed era morta tragicamente in seguito al tentativo di stupro di un teppista, o almeno questa è stata la versione ufficiale. Langner propone proprio a Lewis la realizzazione di un biopic sulla vita di Lylah, con Elsa come protagonista. Le tensioni sul set, la confusione tra verità e leggenda e la forte passione che nasce tra Elsa e Lewis finiscono col confondere irrimediabilmente la finzione con la realtà.
Lo studio delle figure femminili è stato una costante nel cinema pur virile e muscolare di Robert Aldrich. Spesso liquidato come misogino, il suo rapporto con il mondo femminile è sempre stato quantomeno ambiguo. Ritratti di donne eccessivi, che molte volte hanno sfiorato il mostruoso ed il grottesco, con punte di sadismo e patetismo. Quel che però è innegabile è che le donne di Aldrich rispecchiano pur sempre i valori dell’eroe tipico aldrichiano, quello che lotta disperatamente contro il sistema, contro le istituzioni, per rivendicare qualcosa che sia suo. Non fanno eccezione le protagoniste di due opere molto simili tra di loro, L’assassinio di Sister George e Quando muore una stella, realizzate nello stesso anno grazie alla ritrovata autonomia produttiva della “Associates & Aldrich Company”. June/Sister George ed Elsa/Lylah sono personaggi diversissimi eppure con numerosi punti in comune. Entrambe impiegate e maciullate dal sistema dello spettacolo, entrambe alla disperata ricerca di qualcuno a cui aggrapparsi in un mondo crudele e senza speranza.
Tra le protagoniste femminili di Aldrich, la Elsa Brinkmann interpretata da Kim Novak si differenzia però nei tratti caratteriali: Elsa è una sognatrice che giunge in un mondo di mostri amorali e senza scrupoli, e finisce col subire la trasformazione in un personaggio altrettanto sgradevole. Ferma e spigolosa, Elsa implora e rivendica la sua autonomia: “Lylah è morta. Io sono viva. Abituatevi a me!” è il suo grido di ribellione. Si innamora di Lewis, al quale chiede di essere amata per la donna che è, e non ricambiata finisce col subire lentamente il mito: acquista la voce roca di Lylah e la sua risata sardonica, comincia a comportarsi come lei e si identifica nel suo percorso e nel suo triste destino. Aldrich ha affrontato di rado le relazioni sentimentali nei suoi film, eppure quando lo ha fatto ne ha sottolineato sempre il romanticismo disperato, le passioni sempre furenti ed eccessive, come tutti i sentimenti dei suoi personaggi. Non fa eccezione Elsa e la sua triste richiesta di essere amata. Bellissima e conturbante, Kim Novak è a mio parere bravissima nell’interpretare due personaggi molto difficili: riesce a rendere la trasformazione fisica e psicologica della sua Elsa nella cinica e spregiudicata Lylah, cambiando umore e tonalità di voce all’interno della stessa sequenza. Peccato che questa fu la sua ultima interpretazione importante, penalizzata dall’insuccesso del film che pose anche fine alla sua carriera da protagonista. Molto bravo anche Peter Finch, nell’interpretare un uomo eccentrico e isolato dal mondo: "Non sono malato. Sono solo innamorato. Di me stesso", dichiara il suo personaggio.
Ma Quando muore una stella è anche, tema caro e ricorrente nella filmografia di Aldrich, un violento e spietato atto di accusa nei confronti del mondo dello spettacolo ed in particolare della macchina-cinema, vista come mostro fagocitante che ingurgita e maciulla i suoi personaggi. E' il personale omaggio di Aldrich a Viale del tramonto e al rapporto tra von Sternberg e Marlene Dietrich. È una critica agli autori, spesso eccentrici e distaccati dal mondo reale, incapaci di provare sentimenti e di curarsi minimamente delle conseguenze psicologiche di anime che si differenziano per candidezza dal resto della umanità. “Il pubblico crede di sapere. Noi riscriveremo la leggenda e la leggenda diventerà realtà!”, grida profeticamente Lewis.
The Legend of Lylah Clare è un film imperfetto, limitato forse dalla carica eccessivamente visionaria del suo regista e da cambi di tono narrativo che sconfinano spesso nell’onirico. Ma è un’opera malsana e incredibilmente affascinante, che resta impressa nell’anima dello spettatore per molto tempo. Come il suo finale di agghiacciante barbarie. Uno spot di mangime per cani che si trasforma in un incubo ci ricorda quanto siano simili gli uomini e gli animali. Pronti a scannarsi ferocemente tra di loro. Fermo immagine, musica dolce di Frank De Vol, titoli di coda.
P.S. Un ringraziamento a tutti gli utenti che hanno letto o leggeranno queste mie pagine molto poco "imparziali" su Robert Aldrich. E in particolare a Spopola.
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