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Varda by Agnès

Regia di Agnés Varda vedi scheda film

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La recensione su Varda by Agnès

di Peppe Comune
8 stelle

“Nel 1994, in coincidenza con una retrospettiva alla Cinémathèque française, ho pubblicato un libro intitolato Varda par Agnès. Venticinque anni dopo, lo stesso titolo viene dato al mio film fatto di immagini in movimento e di parole. Il progetto è lo stesso: fornire le chiavi della mia opera. Do le mie chiavi, i miei pensieri, niente di pretenzioso, solo le chiavi”.

Questo dice Agnès Varda a proposito di “Agnès par Varda. Un film su Agnès Varda girato da Agnès Varda. Un testamento in vita che ci accompagna con garbata intelligenza dentro la poetica di una delle pioniere della Nouvelle Vague. O seduta in un teatro davanti a degli studenti o nel suo giardino attorniato dai sui gatti, la sua voce diventa un flusso della memoria che attraversa cronologicamente oltre 60 anni di storia del mondo. Si racconta Agnès Varda, continuando a praticare quelle scelte di stile che si sono fatte “cinescrittura”. Tutti i lungometraggi precedenti agli anni 2000 :  l’esordio con “La Pointe-Courte”, “Cléo de 5 à 7”,Le bonheur”, “Les créatures”, “Sans toit ni loi”, “Jane B. par Agnès Varda”, “Kung-fu master!”, “Jacquot de Nantes”, “Les cent et une nuits de Simon Cinéma”. I documentari più “militanti” degli anni 60 e 70 : “Loin du Vietnam”, “Black Panthers”, “Daguerréotypes”, “Mur murs”. E quelli che hanno caratterizzato tutto il nuovo millennio : “Les Glaneurs et la glaneuse”, “Les Plages d'Agnès”, “Visages, villages”. Poi ci sono le sue istallazioni, “Triptyques atypiques” e le “Cabanes de Cinéma”, i suoi esordi da fotografa promettente, il suo amore per Jacques Demy, la sua amicizia con Jane Birkin, i tanti viaggi e i molti sodalizi artistici. E infine il mare, che lei guarda rapita fino a non farsi rapire essa stessa. Con consapevole leggerezza.

 

Agnés Varda

Varda by Agnès (2018): Agnés Varda

 

 

“Bisogna esse assolutamente moderni” diceva Arthur Rimbaud, e Agnès Varda sembra essersi sempre mossa seguendo l’invito del suo illustre connazionale. Visto il modo con cui la sua vita ha sempre cavalcato il corso degli eventi, anticipandoli talvolta, facendosi essa stessa fonte ispiratrice delle tendenze socio-culturali che stavano divenendo. Ben oltre il clima contagioso della Nouvelle Vague, che pure ha contribuito a diffondere con opere seminali come il bellissimo “Cleo dalle 5 alle 7”, gli “anticonvenzionali” “Il verde prato dell’amore”, “Les créatures” o con film documentari calati nella realtà coeva come il collettivo “Lontano dal Vietnam” e “Black Panters”.

Il personale è anche politico in Agnès Varda, appunto per questo respiro “modernista” che sempre ha caratterizzato il suo modo di essere e il suo modo di fare, per come ha saputo mettere in arte la vita e per come, la sua stessa esistenza, ha trovato il modo di farsi specchio del divenire storico attraverso la sublimazione artistica. Il fare cultura non poteva essere disgiunto dal pensarlo come un esercizio critico assolutamente libero, ostinatamente indipendente e socialmente incidente. Detto altrimenti, è stata una gran bella figura d’artista Agnès Varda, come dimostra molto bene “Varda par Agnès”, che ben lungi dal trasformarsi in una sorta di rivisitazione agiografica del suo talento, ci immerge con fare antiretorico dentro l’arte mutante e viva della poliedrica signora dal caschetto bicolore. Ha un valore fortemente testamentario “Varda par Agnes”, e non tanto perché si conclude con lei che sparisce avvolta in una tempesta di sabbia, preludio un po’ sognante alla morte che la coglierà sei setimane dopo l’uscita del film. Ma perché dentro questo bel film c’è tutta la sua anima d’artista : la sua tensione morale, il suo modo di pensarsi in rapporto dialettico col divenire storico, quella curiosità innata che l’ha portata sempre oltre il suo contingente. Un aspetto narrativo fondamentale questo, che certamente si sviluppa attraverso un amarcord cronologico dei tratti cruciali della sua carriera, ma che sa andare anche oltre la pura delineazione dei suoi amori (Jacques Demy), delle sue amicizie forti (Jane Birkin), dei suoi connubi artistici (JR), la sua anima militante (il femminismo e lo sguardo acceso sul mondo). Perché è un film che sa bastare a sé stesso, rappresentando un ulteriore tassello di una carriera luminosa, con una sua peculiare originalità stilistica, data soprattutto dalla fluidità narrativa garantita dal montaggio e dal modo affatto autocelebrativo usato da Varda per raccontarsi. A colpire è infatti la sobrietà con cui l’autrice descrive le tappe fondamentali di una carriera che abbonda di cose interessanti, il come ci fa penetrare dentro la poetica della sua “cinescrittura” : con un’intelligenza che non diventa mai saccenteria, con una leggerezza che non scade mai nella superficialità, con un orgoglio anche un po’ narcisistico per la sua opera che non si traduce mai in autocompiacimento gratuito.  Non sale mai in cattedra Agnès Varda, anche quando parla in un teatro gremito di studenti adoranti, mentre gli spiega la genesi dei suoi film, il linguaggio adottato per delle sequenze chiave, il modo di orientare i movimenti di macchina, l’architettura della messinscena, le scelte di montaggio. Men che meno quando è seduta in giardino attorniata dai suoi amati gatti, quando parla del suo amore per Jacques Demy e del modo in cui ha dovuto gestire il dolore per la sua morte, dei suoi esordi “promettenti” come fotografa, delle sue installazioni avanguardiste. O durante le immagini di repertorio, quando posa il suo sguardo vigile su luoghi, eventi e persone attraverso lo stile esile e pregnante insieme della sua cinescrittura. C’è sempre tanto garbo in lei, e ciò che sa far emergere molto bene “Varda par Agnès” è questa sua capacità di saper tradurre in forma semplice concetti complessi, di saper far convivere il senso del reale con l’astrazione artistica. Infine, come non ricordare il suo amore totale per il mare, luogo di pace e di fuga, dimensione concretamente capace di anestetizzare le ansie e riempire gli occhi di gratitudine ed entità metafisica in quanto nemesi esistenziale. Come dimostrerebbe la già evocata tempesta di sabbia che chiude il film, dove Varda sembra esorcizzare la sua morte imminente reinventando il suo cinema per un’ultima e definitiva volta.

Un bellissimo film documentario, insomma, che mi ha aiutato a penetrare il mondo di una grande artista che conoscevo solo grazie alla visione di alcuni suoi film. Consigliato vivamente.               

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