Shoplifters, Hirokazu Kore'eda, 2018.
Sul buon vecchio Hirokazu Kore'eda fortunatamente si è detto di tutto (a tal proposito fondamentale il volume dedicato al suo cinema, firmato da Claudia Bertolè) in particolare modo dopo alcuni suoi successi internazionali (grazie Cannes) da Father and Son a Shoplifters.
In italia Shoplifters è stato distribuito con il titolo Un affare di famiglia con l'intento di richiamare l'attenzione dello spettatore al concetto di famiglia, da sempre tematica emblematica del cinema di Kore'eda. Fin qui nulla di oltraggioso, ci mancherebbe, tuttavia è assai riduttivo analizzare Shoplifters incanalandolo solamente al tema "famiglia", per quanto perno centrale dell'opera.
Certamente Kore'eda ci ripresenta dettagliatamente una famiglia allargata dove ciò che conta non è il legame di sangue bensì i sentimenti. La famiglia Shibata nonostante le gravi difficoltà economiche apparentemente sembra felice ma in realtà il quadro è destinato a corrodersi ed ecco il motivo di "famiglia disfunzionale" (spesso al centro dell'opera koreediana) esplorata dal regista in tutte le sue declinazioni ma con estrema delicatezza.
Va bene ci siamo tuttavia se ci fermiamo un attimo notiamo come il regista in parte recuperi pressoché tutti i suoi elementi tematici analizzandoli però con un piglio sicuramente più pessimista rispetto al recente passato.
Innanzitutto parto dal concetto di memoria e identità, tematica chiave per Kooreda, spesso amalgamata alle altre. Qui il tema della memoria sembra essere disgregato, corrotto dalla modernità sempre più dedita al guadagno e al profitto.
La piccola Juri durante una chiacchierata a cuore aperto con il "fratellone" Sh?ta, rievoca con affetto e nostalgia la nonna defunta; il fratello però la riprende immediatamente consigliandole di dimenticarla e lo dice con un tono spietato ed estremamente diretto e sembra quasi ribadire: è morta quindi non può aiutarti.
Lo stesso Shota non ricorda nulla della sua reale famiglia e non ha il benché minimo interesse a ricordarla.
Pure Hatsue (Kirin Kiki) non è realmente interessata al ricordo del marito in quanto spinta solo da interessi personali.
Dalla memoria passiamo all'elaborazione del lutto, altro topos imprescindibile del regista qui omessa nonostante la morte di alcuni soggetti.
Infine anche la regia presenta un'evoluzione a tratti "sconvolgente" ma ci torno tra poco poichè adesso è doveroso anche citare altri temi "secondari" koorediani presenti nel film.
Sui temi secondari esposti dal regista parto da una natura emblematica e determinante, personaggio rivelatore tale da avvertire lo spettatore circa possibili sconvolgimenti ed infatti poco dopo un improvviso temporale estivo, il destino dei nostri taccheggiatori cambierà per sempre.
Il regista propone anche una rivisitazione e modernizzazione del mito di Pigmalione con il grande Lily Franky che valorizza i suoi "figlioletti" insegnandogli a rubare. Continuando, cito altresì la relazione amorosa tra lo stesso Lily Franky e Sakura And? oppure non dimentichiamoci lo sguardo realistico e "neutro" con cui vengono rappresentati e ripresi i più piccoli in tutta la loro innocenza; bimbi spesso costretti a crescere troppo in fretta (non a caso con Kore'eda si parla di "bimbi saggi") .
Infine presente anche il lato sociale di Hirokazu Kore'eda che mostra un'assistenza sociale assente ed incompetente oppure un mondo del lavoro malato e senza regole (licenziamenti a muzzo o indennità non pagate).
In precedenza accennavo ad una regia diversa dal solito ed infatti ,pur non mancando svariate inquadrature con macchina da presa fissa o primi piani comunicativi ed autentici, in due diverse occasioni il regista ricorre alla macchina a mano dandole sempre un significato differente (dalla corsa "felice" per aver rubato una borsa, ad una corsa disperata per aver assistito ad un evento tragico). Tornano poi anche le carrellate laterali che seguono i protagonisti (pensiamo al finale di Father and Son)...
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