Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
1977, uno degli anni più caldi che hanno caratterizzato i nostri "anni di piombo", che raggiungeranno il culmine della violenza l'anno successivo (nel 1980 arriverà comunque anche la strage di Bologna) con il sequestro dell'onorevole Aldo Moro e la decimazione della sua scorta e il poi conseguente assassinio dello statista democristiano da parte delle Brigate Rosse. Sulla scia di CADAVERI ECCELLENTI di Francesco Rosi, anche Damiano Damiani si cimenta in quel cinema civile/politico che descriveva un paese sull'orlo di una guerra civile e di una svolta autoritaria/militarizzata. Come già spesso avevo scritto, Damiani non e' Rosi, ma questo IO HO PAURA e' un brano di cinema, che nella sua semplicità, riesce a tener testa alla pellicola di Rosi sopra citata. Sotto la scorza del film poliziesco, Damiani infarcisce una storia di stragi senza colpevoli, servizi segreti deviati in combutta con estremisti di destra, magistrati a dir poco ambigui e uno stato che fa da spettatore. Film che nella sua durata riesce a tenere sempre altissima l'attenzione dello spettatore, con un'atmosfera continua di sospetto che attanaglia il nostro protagonista che si ritrova invischiato in un intrigo spionistico senza uscita. Straordinaria (come sempre) la performance del grande Gian Maria Volonte', che da vita a un personaggio fragile e vulnerabilissimo. Ludovico Graziano e' un brigadiere di pubblica sicurezza di umilissimi origini che probabilmente ha lasciato il paesello natio del sud-Italia per entrare in polizia ed aspirare a una vita più dignitosa. Come già detto un personaggio fragile e vulnerabile, ma dotato di grande intuito e acuta intelligenza, che verso la fine saprà sfoderare iniziativa e coraggio da vendere. Veramente ben descritto il rapporto instaurato con il giudice Cancedda (il bravissimo Erland Josephson) di cui Graziano diverrà autista e guardia del corpo. Uomo di legge tutto d'un pezzo, integerrimo e onestissimo, ma purtroppo ingenuo e troppo fiducioso nelle istituzioni e nello stato, Cancedda pagherà con la propria vita per questa sua fiducia mal riposta. Tra il brigadiere e il giudice nasce una sincera amicizia, con ognuno che avrà qualcosa da insegnare all'altro. Non sarà la stessa cosa quando Graziano dovrà guardare le spalle al giudice Moser (un'altrettanto bravissimo Mario Adorf), un'individuo che dietro un'aria di giovialità, nasconde un comportamento a dir poco ambiguo ed equivoco. La vicenda tocca momenti di tensione quasi surreale ed astratta, specie quando al giudice Moser si presenta in un bar una donna che asserisce di essere la compagna di un importante teste morto in circostanze quantomeno dubbie in carcere. Precedentemente un'altra donna si era presentata nel medesimo bar al giudice Cancedda rivelandogli le medesime generalità, per poi essere scaraventata dalla finestra di casa sua. Una perfetta istantanea di una lunga stagione iniziata nel dicembre del 1969 a Milano, e che in un modo o nell'altro non finisce mai di portare alla luce nuove ed inquietanti rivelazioni. Rimprovero solo il finale, in quanto avrei preferito una soluzione più aperta alla fantasia dello spettatore.
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