Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
Se da una parte il poliziottesco riempiva le sale cinematografiche ( Torino Violenta, tipico esponente del genere pochi mesi dopo incasserà un miliardo e trecento milioni) e dall'altra Rosi con il suo Cadaveri Eccellenti ci dava una visione ai limiti del metafisico della geografia occulta degli onnipresenti poteri forti, Damiani con il suo amore per il cinema di genere e di denuncia si pone come ideale spartiacque tra le due componenti succitate.
E' troppo sbrigativo definire Io ho paura semplicemente un poliziottesco: la violenza fisica è distillata con parsimonia e si evitano facili soluzioni in nome della spettacolarità.
Allo stesso tempo non si arriva comunque alla valenza simbolica del cinema di Rosi che si pone a un livello di raffinatezza superiore.
Ma in questo film di Damiani c'è Gian Maria Volontè e già questa presenza vale da sola il cosiddetto prezzo del biglietto: il suo brigadiere Graziano è un uomo stanco, disilluso, uno che ha paura come dice il titolo ( è lui che pronuncia quella frase), un servitore dello Stato che è stanco di rischiare la propria vita e vivere a sighiozzo il rapporto con i propri affetti.
Assegnato di scorta a un giudice integerrimo viene a contatto con una storia più grande di lui e la paura aumenta fino a essere insostenibile quando costui viene ucciso e lui viene assegnato a un altro giudice.
Meglio non dire di più sulla trama: il film di Damiani pur risultando nebuloso nel delineare un apparato deviato (traffico d'armi? terrorismo internazionale? E a che pro?) è convincente nella descrizione del clima ansiogeno e inquietante che circonda il protagonista.
Un clima che assume contorni ancora più spaventosi per l'impressione che ha il brigadiere di trovarsi in una sorta di incubo kafkiano che per lui ha l'acre sapore del deja vu.
Apprezzabile il tentativo di svincolare la figura del poliziotto dallo stereotipo del commissario superman comune a molti poliziotteschi del periodo ed è notevole il livello del cast.
Io ho paura si inserisce nel filone dei thriller di impegno civile, impregnato di tutta la passione di Damiani per il cinema di genere.
Magari la tesi complottista paventata sarà melodrammatica ma dal punto di vista spettacolare è dannatamente efficace.
Il film di Damiani è ostentamente "medio" , si sveste della patina autoriale per veicolare un messaggio politico forte e soprattutto scomodo.
Denotando tutto quel coraggio che manca al cinema italiano d'oggi.
(bradipofilms.blogspot.com)
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