Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
SICILIA QUEER 9 - APERTURA
Ha ancora senso parlare di New French Extremity? Ha mai avuto senso parlarne? Ricapitoliamo.
La New French Extremity è una sorta di movimento spontaneo nato all'inizio degli anni 90 in Francia, intercettato da James Quandt in una serie di Autori che sfruttavano trasgressione, perversione e terrorismo sensoriale per tentare, con il linguaggio cinematografico, nuovi tipi di esperienze. Dall'Autore meno coerente (François Ozon) a quello più teorico e sperimentale (Philippe Grandrieux), questo movimento ha potuto esplorare infinite vie di messa in scena, sempre caratterizzata dal già citato terrorismo sensoriale che permette di instillare nello spettatore sensazioni di ansia, di panico o di terrore tramite un'ossessione estrema per certe modalità espressive: colori molto accesi, camere o fisse o a mano, fotografie sgargianti o anche estremamente grezze. Insomma, questo tipo di Cinema sembrava improntato all'iperbole.
Tra le conseguenze della New French Extremity (di cui Gaspar Noé è assolutamente tra i padri) abbiamo Climax, 2018, realizzato da un Noé in stato di grazia che dopo aver trionfato con l'esperimento di Love torna a disgustare, sconvolgere e far indignare (anche meno però di quanto si aspettasse, alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2018) con Climax, horror psicotropo in cui la degenerazione mentale dei protagonisti, ballerini chiusi in una scuola durante una bufera di neve e drogati da qualcuno con sangria allungata da LSD, coincide con la degenerazione della regia, quindi della messa in scena in sé, e dei corpi. Raramente al cinema si vede tanta ostinazione e tanta geometria (pur nella follia) nel tradurre una condizione raccontata nel modo stesso in cui è raccontata - la qual cosa è tra i capisaldi del terrorismo sensoriale: Noé parte da delle riprese con camera o fissa o condotta in fluidissimi piani-sequenza, per poi degenerare in prospettive sempre fisse ma allucinate (il ballo visto in plongée a 90 gradi) o in piani-sequenza questa volta con una finta camera a mano, attaccata di volta in volta a un personaggio diverso e in grado di realizzare poi le più impressionanti e virtuosistiche capriole visive. La natura allucinata dell'inquadratura non è solo data dalla posizione della camera, ma anche da come quella posizione deformi campo e personaggi: il ballo visto dall'alto sembra troncare interi pezzi del corpo e del busto dei ballerini, comportando che non si distinguano più i confini fra arti inferiori e arti superiori, trasformando gli attori in fluidissimi corpi mostruosi che, avvillupati dal dinamismo delle mosse musicali, finiscono per deformarsi nel corpo tanto più risultano deformati nell'anima - quasi in una versione più "pop" e più scargiante dei corpi deformi di pura energia degli esperimenti visivi di Philippe Grandrieux. La camera presto comincia a ruotare, e a insistere in modo esasperato sulle luci, dapprima raffinate scultrici di campi godardiani alla Pierrot le fou (i dialoghi visti con camera fissa in luoghi diversi, separati da brevi jump cut e che nel film di Godard erano percorsi da un taciturno Jean-Paul Belmondo da parte a parte) e poi aggressivissimi neon - a firma esemplare di Benoit Debie - che portano a incorniciare le varie stanze della scuola come antri di un inferno sempre più oscuro e senza speranze.
La ronde di personaggi di Noé permette una messa alla berlina di tutte le costruzioni melodrammatiche del cinema accademico, dalle storie d'amore più selvagge (in questo caso incestuose) fino alla gravidanza indesiderata, dalle difficoltà della vita con un figlio alla violenza machistica. Il genere, in Climax, definito da dialoghi e da situazioni il più possibili mutevoli, è totalmente fluidificato, così come l'illusione di alcune tematiche: mostrare i campi alla Pierrot le fou già citati, non più per discussioni di alto spessore come i soliloqui di Samuel Fuller ma per discutere tra amici con chi si vuole fare sesso e con quali dettagliate posizioni, è già una prima modalità di destrutturazione di una precisa modalità di far cinema. Tante altre modalità di cinema - tutte riferite ai titoli che vediamo citati esplicitamente all'inizio del film, nella sequenza della televisione, da Zulawski ad Argento etc - vengono capovolte, rielaborate allo scopo di creare un cinema che sia di superfici, di luci scultrici, di logorree visive, smodatamente violento ma allo stesso tempo clinico, quasi entomologico, nel voler evitare di empatizzare con le esperienze dei singoli personaggi ma nel voler piuttosto intromettersi in un'isteria essenzialmente collettiva. Siamo contemporaneamente dentro e fuori. Ed è qui il grande sforzo teorico di Climax: discutere di modalità di messa in scena - delle potenzialità del Cinema - facendo un resoconto quasi sistematico di cosa può il Cinema fare col corpo, con l'alterità, con la violenza, e nel frattempo farle percepire direttamente sulla pelle dello spettatore. Una patina teorica, invero, che può anch'essa entusiasmare e scuotere nel profondo, perché urlata con estrema aggressività.
E forse alla fine, fra teoria cerebrale e esperienza sensoriale, tutta questa differenza non c'è nemmeno.
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