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Climax

Regia di Gaspar Noé vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Climax

di Badu D Shinya Lynch
8 stelle

scena

Climax (2018): scena

 

Da subito, in maniera inconsciamente e sottilmente emblematica, viene messa in scena l'esigenza dei personaggi del cinema di Noè di fuga in un'altra realtà; in un altro sub-strato esistenziale e filmico: Climax comincia con un tentativo, da parte dei corpi, di evasione dal quadro visuale, quindi dalla (ir)realtà narrativa, che ricorda l'allontanamento dei protagonisti, per l'appunto dallo scenario visivo, in una sequenza di Tag [Sion Sono, 2015] e in una di A Torinoi Lo [Béla Tarr, 2011]. Ecco che, di conseguenza, Climax sembrerebbe un impossibile incontro-scontro gravitazionale di (questi) due modus operandi diametralmente opposti concernente l'uso della mdp. [Nell'ultimo paragrafo della recensione, questa stratificazione formale troverà la sua spiegazione definitiva.]

Successivamente, dal sopracitato "allontanamento", si giunge, invece, ad un avvicinamento totale all'immagine, fino a giungere, addirittura, all'ingresso di essa, finché, inevitabilmente, si "entra" in quest'ultima, in questa selva oscura situata al di là della superficie dell'immagine, per far detonare il film dall'interno, attraverso una sorta di corto circuito filmico che rompe, apre la "parete della settima arte" che porta alla spasmodica, vivida e cangiante materia cinematografica, così come accadeva in Holy Motors [Leos Carax, 2012]. Infatti, anche nel film di Noé c'è una ricerca ipercinetica (e affannata) di una realtà-altra che è tipica dei corpi e del cinema caraxiani.

 

scena

Climax (2018): scena

 

Climax è inesorabilmente il film più grandrieuxiano di Noé, di conseguenza, la sua opera più epilettica e terremotante; terroristica per la sensorialità del pubblico. Insomma, Climax è il lavoro più performativo del regista franco-argentino e, proprio per questo, la sua pellicola formalmente più corporea e, in un certo senso, "organica", come se, in un certo qual modo, lavorasse, sì, sui corpi attoriali, ma anche col e, soprattutto, nel corpo del cinema stesso. Quindi, un film immersivo ed immerso, che opera dall'interno del Cinema e dell'immagine, in una dimensione spettatorialmente perturbante e cinematograficamente significante. Un film vivente e pulsante, insomma. Climax è pure il suo lavoro più sciamanico ed esorcizzante, ovvero catartico. Proprio per questo, risulta essere anche un lungometraggio volutamente zulawskiano: si pensi alla sequenza in cui Selva "danza" in maniera febbrile, come se fosse lo specchio immanente della sequenza della possessione nel sottopassaggio della metro concernente l'Adjani in Possession [Andrzej Zulawski, 1981]. E, a proposito di citazioni cinematografiche, Climax è come se fosse il vero remake di Suspiria [Dario Argento, 1977], in versione tecno-house. Climax è, in poche parole, l'horror di Gaspar Noé.

 

Sofia Boutella

Climax (2018): Sofia Boutella

 

Riprendendo in mano il discorso affrontato nel primo paragrafo della recensione, l'ultimo film del regista di Enter the Void, risulta essere la sua opera proteiforme per eccellenza, proprio perché è il suo lavoro in cui l'impronta stilistica noeniana è più funzionale alla storia narrata, ovvero, il lungometraggio comincia in maniera pulita e precisa, sobria e armonica, per poi precipitare negli abissi ingestibili ed indiavolati, disarmonici ed epilettici del suo cinema, nonché della sua impronta stilistica: Il film si apre con una inquadratura dall'alto, in plongée, di una donna che urla, in un paesaggio innevato. La macchina da presa, senza stacchi, compie un movimento circolare che descrive una delle figure geometriche del film e, più in generale, del cinema noeniano: la spirale. L'inquadratura successiva è un piano immobile, frontale, di uno schermo televisivo. Poi il film comincia per davvero, con un magnifico piano sequenza, essenzialmente frontale, della danza dei protagonisti. Seguono alcune sequenze che introducono i personaggi principali. La macchina da presa qui è inizialmente mobile, con l'organizzazione delle inquadrature in cui il piano frammenta lo spazio che resta abbastanza convenzionale. Seguono piani frontali, più brevi ma immobili, che sembrano immergere lo spettatore nell'universo stilistico di Love. Segue un'altra sequenza di danza, non più filmata con una inquadratura frontale, ma con un pianosequenza dall'alto, in plongée, inizialmente immobile ma che poi compie di nuovo, come nell'incipit, un movimento circolare. È l'inizio della fine. Da questo momento, con l'esplosione della follia degli effetti della droga, salta anche la convenzionalità del découpage del film, che viene, letteralmente, "terremotato": un unico incredibile piano sequenza frammenta adesso lo spazio in décadrages estremi, culminanti nel delirante finale "sottosopra". Non solo l'horror di Gaspar Noé, ma anche il suo film formalmente più orrorifico e abissale, è, in un certo qual modo, il suo lavoro meno "masturbatorio".

 

Sofia Boutella

Climax (2018): Sofia Boutella

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