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Il gioco delle coppie

Regia di Olivier Assayas vedi scheda film

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La recensione su Il gioco delle coppie

di EightAndHalf
8 stelle

Le doppie vite di Assayas si intessono in quel mondo fluido, quasi virtuale, del fuoricampo. Quando i personaggi dei film di Assayas si muovono, con i loro vettori di azione presentano lo spazio attorno a loro e lo “attivano”, lo sbloccano dall’empasse inconcepibile del fuoricampo, del non-ancora-percepito. Eppure, di quegli spazi si liberano solo dei frammenti, cosicché tutto il resto risulti sempre labirintico, incomprensibile, contro ogni ragionevole architettonica disposizione. Basta far caso a questo per notare la regia di Assayas: gli spazi sono sempre inconcepibili, sempre imperfetti, sempre da riscrivere ad ogni movimento di camera. Esteticamente, sembrerebbe di parlare di antropocentrismo, visto che è la figura umana il perno attorno a cui si muove la camera. In realtà, esattamente come avveniva in L’eau froide e in Irma Vep, è proprio questo spazio fluido e incontrollabile il vero protagonista del cinema di uno dei registi più fondamentali del contemporaneo audiovisivo. Il protagonista è proprio l’invisibile “attorno” ai personaggi.

 

Ecco dunque che il campo/controcampo più semplice, in Assayas, si fa portavoce di una tensione costante fra ciò che si vede e ciò che non si vede: nel caso di Doubles Vies fra ciò che avviene e ciò che non avviene, fra ciò che si dice e ciò che non si dice. Si parla tanto, nel film, di ipocrisie, segreti e bugie (per dirla à la Leigh), immersi come ci ritroviamo in ronde nell’accezione resnais-iana del termine. Se il Resnais di Smoking/No Smoking e di Parole parole parole era però la commedia della possibilità narrativa, l’Assayas di Doubles Vies è la commedia della possibilità fenomenologica - si conceda il termine un po’ più pretenzioso. È proprio in riferimento a questa “realissima” fluidità degli spazi che si costruisce il discorso sulla virtualità del mondo dell’editoria contemporanea che il film propone, a partire dalla perdita dello strumento libro a favore dell’e-book, finanche all’idea di scrittura da social network come nuova forma di letteratura post-contemporanea – non a caso nel film si parla di “post-verità”. Il tweet come haiku.

 

La fluidificazione di questi massimi sistemi, percettivi e concettuali, si estende all’ambito caratteriale: i personaggi, dalle dinamiche relazionali incrociate e ancora una volta resnais-iane, si ritrovano a vivere nei panni delle stesse icone che rappresentano, o nei panni dei fantasmi che stanno dietro le quinte (nel primo caso, la Binoche nella parte di un’attrice e Macaigne nella parte di uno scrittore; nel secondo caso, Canet nella parte di un editore), a un livello tale che alla Binoche che interpreta Selena nel film verrà addirittura chiesto di scrivere una mail a Juliette Binoche. In questa ulteriore fluidificazione dello spazio che intercorre tra schermo e spettatore giace tutta la grandezza di un Cinema che dissimula il calcolo ed è forse l’unico Cinema di “attualità” oggi realmente possibile.

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