Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
Da vedere almeno due volte e mezzo
Dopo averlo visto due volte e mezzo (il sonno si è goduta la seconda metà della seconda volta) ho umilmente deciso che capisco poco di tutti quei discorsi che a ritmo frenetico occupano tutto il tempo di cene, pranzi o brevi colazioni, in casa, nei bistrots, nella casa da intellettuali in vacanza, cioè modesta, molto destrutturata e tirata via, sulla meravigliosa costa francese che dai colori e dalle canzoni post coloniali sembra Provenza.
Mentre mangiano qualsiasi cosa e bevono, bevono e bevono, Alain, l’editore, Leonard, lo scrittore, le due mogli e amici vari o collaboratori sul lavoro che vanno e vengono, riescono a parlare con ottimo registro linguistico di argomenti complessi, fare il punto sul mondo in cui vivono, ipotizzare scenari futuribili, analizzare la modernità con una velocità di trasmissione delle idee e una concentrazione concettuale da far invidia a Monsieur Teste di Paul Valery.
Chi riesce a seguire il filo del discorso merita un elogio, chi no farebbe bene a riflettere malinconicamente sulla qualità dei discorsi che si fanno durante le proprie, di cene.
Quello che forse può consolare il malcapitato spettatore è constatare che per il resto, finito di mangiare e bere, questi nostri eroi fanno cose di una banalità e normalità sconcertante: scopano, tradiscono, chiamano il figlio “campione”, cosa odiosissima ma tant’è, se arriva un maschietto in scena succede spesso, del politico di turno sempre fuori scena e molto rampante a sinistra si dice che è stato visto uscire dal camper di una prostituta, Leonard scrive romanzi bruttissimi come la maggioranza degli scrittori oggi e, ciliegina sulla torta dulcis in fundo, la citazione del finale de Il Gattopardo non poteva mancare.
Accorgendosi della banalità Assayas che fa? Corregge deliziosamente il tiro dicendo che la frase sarebbe più adatta oggi che al tempo del buon Tomasi.
Cosa peraltro non vera proprio oggi.
Un film che definire ricco di aspettative da parte degli spettatori è certo, e i riscontri ottenuti lo hanno premiato. Come i romanzi di Leonard, alla fine si vendono.
Come dicono ottimi e più capaci di comprensione esegeti, sottotraccia c’è tanto, è solo in apparenza una commedia, il vuoto della vita si agita nel profondo, c’è filosofia, etnologia, sociologia, psicologia, insomma tutto ciò che conta.
Peccato che la vita scorra diversamente, molto più banalmente, semplicemente, provvisoria e autentica nella sua provvisorietà, senza molti discorsi nelle sedi più improprie mentre le aule degli atenei sono semivuote quando si parla di arte, poesia, letteratura, scienze umane e disumane.
Tutto finirà su google e twitter e la colpa è dei giovani, sostengono i nostri eroi, il processo di degrado del linguaggio non si ferma, la civiltà è agli sgoccioli e Alain, l’editore, si dichiara sinceramente preoccupato.
Certo, pensa una sparuta minoranza di spettatori, continuando a superare la soglia glicemica mentre si occupa il cervello con pensieri così profondi il corto circuito è assicurato.
Gli attori? Il colbacco della Binoche starebbe bene nel Dottor Zivago, ma fa tanto intellettuale unito al suo look trasandato, comunque bravi e belli, e se questo è sufficiente a fare un buon film allora Doubles vies è un buon film.
I due titoli, francese e italiano, questa volta convergono, depistano, parlano d'altro.
www.paoladigiuseppe.it
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