Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Juan (Carlos Reygadas) è un Poeta di fama mondiale, ma piuttosto che assecondare il suo successo editoriale preferisce vivere nel suo ranch, situato nella più profonda campagna messicana. Ama starsene isolato Juan, lontano dal mondo moderno e insieme ai suoi amati animali. Con lui vive la bella moglie Esther (Natalia Lopez), una donna energica e indipendente che lo aiuta nell'allevamento dei cavalli selvaggi e dei tori da combattimento. Aiutati nella gestione dell’immensa fattoria da diversi collaboratori di fiducia, i due coniugi vivono la loro vita di coppia in perfetta armonia con la natura circostante, lasciando che i loro piccoli figli vivano in pace i loro anni spensierati. Juan ed Esther sono una coppia molto aperta e insieme hanno deciso di sentirsi liberi di intraprendere altre relazioni. Purché si dicano sempre tutto e che questa fiducia reciproca non metta a repentaglio la loro unione perfetta. Ma quando Esther si invaghisce seriamente di Phil (Phil Burgers), un addestratore di cavalli venuto dagli Stati Uniti per lavorare per un po’ di tempo al ranch, le sicurezze della coppia sono messe seriamente in discussione. Juan ed Esther sono così costretti ad affrontare una profonda crisi emotiva. Con Phil che fa da ombra ingombrante sui loro sentimenti in subbuglio.
“Nuestro Tiempo” di Carlos Reygadas è un film bello ed impegnativo, un’incursione speculativa dentro gli imperscrutabili percorsi del sentimento amoroso. Fatto sempre attraverso la potenza visiva delle immagini, ma accompagnandosi anche con la carica descrittiva delle parole questa volta, molto più di quanto ci aveva abituato in precedenza l’autore messicano.
Per come mette in rapporto la necessaria presenza del “nuovo” che avanza con un tempo storico che continua a rimanere legato alle radici culturali di sempre ; per come sa evocare (come pochi) la presenza invasiva dei fuori campo rispetto ai limiti “imposti” dello spazio inquadrato ; per come sa usare la potenza delle immagini in movimento facendo parlare gli oggetti e curando in maniera certosina gli spazi, Carlos Reygadas potrebbe essere definito il Marcel Proust del Cinema contemporaneo. Un autore tanto ostico per come sa indurre a sforzi cognitivi supplementari, quanto necessario per gli apporti originali che sa dare al rinnovamento della grammatica cinematografica. In questo film, il “nostro tempo” è come messo in relazione al tempo perduto (appunto), perché Reygadas, come quasi sempre gli capita di fare, insiste col produrre un universo fatto di immagini che si rincorrono l’un l’altra in un coerente percorso speculativo. Immagini che oscillano tra la pura rappresentazione del visibile e le sue implicazioni mitiche, tra la dimostrabilità di esistenze che si concedono spoglie agli eventi che gli capitano di vivere e l’indimostrabilità dei loro mutevoli sviluppi. Per una poetica che tende ad assorbire la nozione di tempo nell’evidente limitatezza del genere umano rispetto all’immensità del creato, a sublimarla in un’estasi naturalistica eternamente uguale a sé stessa. Ne sarebbero una prova, da un lato, il modo in cui l’autore messicano rende palcoscenico delle variabili vicende umane la forza rigenerativa della natura e, dall’altro lato, il modo in cui riesce a rendere il divertimento dei bambini una comunione fisiologica con il carattere ancestrale dell’ambiente che li circonda. Non è un caso che, come succede anche altrove, il film, prima di immergerci nelle turbolenze sentimentali dei due sposi, inizi con un gruppo di bambini e di adolescenti che giocano festanti in un vasto stagno paludoso, incuranti di tuffarsi da un canotto dentro dell’acqua putrescente e di attentare in ogni istante alle più elementari regole dell’igiene. Ma loro dimostrano di volersi comportare con tutta la naturalezza che gli è propria, senza sovrastrutture superflue, vivendo ogni cosa come una continua epifania. E Carlos Reygadas è impeccabile nel saper trasmettere per immagini questa sospensione temporale inscenata da questi giovanissimi esseri viventi durante tutto il prologo iniziale, a fare della potenza visiva di inquadrature mosse un’epifania che si rinnova ad ogni fotogramma.
Questo tratto poetico è rinvenibile in tutti i ricercati contrasti che popolano il film : tra la scelta ostinata di Juan di vivere in stretta simbiosi con il suo ranch di campagna e il mondo di fuori che reclama la sua presenza “autorevole” ; tra la delicatezza che scaturisce dall’estasi poetica e la forza ferina incarnata dall’istinto animale ; tra i misteri da esplorare del sentimento amoroso e la concreta e soverchiante virilità del toro ; tra gli ingenui battiti del cuore che iniziano a serpeggiare tra gli adolescenti e l’unione matura di una coppia che entra in crisi ; tra l’amore appagante per i sensi e il sesso rigenerante per i soli corpi. Il cinema interviene in questo universo visivo mostrando un pudore calcolato nell’architettare gli spazi della messinscena. Come quando mostra ogni teoria sull’amore che si fa atto sessuale attraverso giochi ottici deformanti o spiragli di porte socchiuse che ne rendono parziale la visione. È in questi momenti, culminanti per l’economia poetica del film, che Carlos Reygadas intende (evidentemente) mostrare il rapporto che intercorre tra i limiti del visibile e la potenza evocativa di ciò che si rende rappresentabile.
In “Nuestro Tiempo” Carlos Reygadas (che qui compare per la prima volta come attore protagonista, accanto alla moglie Natalia Lopez e ai figli Rut ed Eleazar) accentua più del solito il lato puramente narrativo della storia, lasciando che i suoi personaggi esprimano con la chiarezza del parlato il senso reale delle loro inquietudini sentimentali. La parola assume una centralità quasi romanzesca, e quando non è veicolata dall’incontro scontro dialettico dei personaggi, o trova un ancora ideale nella scrittura di lettere chiarificatrici, o è demandata al ruolo impersonale di un voice over sfuggente e omnicomprensivo (e qui mi torna utile evocare delle assonanze di stile con “Tabù”, il bellissimo film di quell’altro innovatore interessante della materia cinema che risponde al nome di Miguel Gomes).
La forza delle immagini e la maniera “anomala” di muovere la macchina da presa, caratteristiche fondative della poetica di Carlos Reygadas, sono qui funzionali per penetrare nel profondo le disarmonie sentimentali di Juan ed Esther. I due si amano molto e il loro ottimale equilibrio di coppia è garantito dall’apertura relazionale che entrambi possono avere verso gli altri. Ma è proprio questa fiducia reciproca a trasformare l’amore in un’entità totalizzante, perché presuppone che quella fiducia, estrema e avvolgente, venga continuamente alimentata dallo stesso sentimento da cui è stata generata. Ogni deroga a questo accordo coniugale rischia di trasformare un amore che si voleva continuamente vivificare nell’abitudine dello stare insieme, la promessa di raccontarsi tutto nella pretesa vicendevole di poter fare delle tacite fughe in avanti. Da qui nasce il confine labile tra amore e possesso, fedeltà e lealtà, fiducia reciproca e silenti omissioni. Da qui emerge la crisi profonda che il loro rapporto è costretto ad affrontare. Da qui scaturiscono le domande di sempre. Amare una persona significa desiderare sopra ogni altra cosa la sua felicità o questa non può prescindere dall’egoistico soddisfacimento della propria di felicità ? L’amore eterno esiste solo in quanto fedele dedizione all’altro ? O può durare di più e meglio donandosi l’un l’altro la possibilità di cercare altrove altri piaceri sessuali ? È possibile che la complicità sessuale trovata altrove non mini dalle fondamenta gli equilibri di una coppia ? Il tradimento materiale del corpo può essere disgiunto dal tradimento intenzionale della mente ? Tutte domande che si fanno largo in questo intrigante gioco a tre, messo in scena con adeguata perizia narrativa e doverose implicazioni speculative. Un intreccio amoroso che parla in chiave moderna un linguaggio antico.
Il tempo che non conosce tempo di Carlos Reygadas. Cinema importante.
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