Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Al suo sesto lungometraggio da regista (non contiamo quelli come produttore e/o cosceneggiatore), Carlos Reygadas si cimenta in Nuestro Tiempo in una lunga riflessione sull’esclusività dell’amore. La storia, ambientata ai giorni nostri, ha luogo in uno sperduto ranch messicano, dove Juan, poeta di seconda professione, vive con la moglie Esther allevando tori da combattimento. Genitori di tre figli, Juan ed Esther all’apparenza sono una coppia borghese come tante altre, forse solo un po’ più fortunata dato che non devono fare i conti con la realtà economica (depressa) del loro paese, con i problemi dell’immigrazione e con la situazione politica nazionale. Vivono sospesi come in una bolla tra le campagne e le colline a ridosso di Città del Messico, hanno compiti lavorativi ben definiti e crescono quei tori che un giorno finiranno a scontrarsi l’uno con l’altro in un giro di scommesse, clandestino o legale che sia.
La loro quiete è rotta il giorno in cui in zona arriva Phil, un gringo statunitense che addestra cavalli. È stato assunto da un ranch vicino e la sua presenza genera parecchi timori in Juan, che lo intravede sin da subito come una minaccia alla sua vita matrimoniale. La minaccia si rivela concreta quando scopre che Esther lo tradisce. Il problema di Juan, però, non è il tradimento ma la scelta della moglie di non rivelarlo. Lo spettatore, dapprima basito, scopre in tal modo che Juan ed Esther sono quello che un termine del nostro tempo definisce “coppia aperta”, una decisione che hanno preso anni prima quando il marito ha avuto una relazione al di fuori del matrimonio che tanta sofferenza ha generato nella moglie. Da coppia aperta, hanno confessato ogni tradimento fisico, ci hanno scherzato sopra e sono ritornati alla loro esistenza quotidiana senza traumi, considerando l’atto in sé lontano dal vero amore.
La tresca di Esther con Phil ha però un sapore molto diverso. Juan se ne accorge dai continui sotterfugi, dal telefono cellulare divenuto parte integrante della mano della moglie e dalla sua continua sofferenza, un malessere psicologico che intacca anche la loro sfera intima. Capendo quanto Esther possa rimanere affondata dalla fine della tresca, Juan spinge Phil a rendere felice sua moglie, recitando una parte su copione. I giochi, si sa, sono belli quando durano poco: quando la verità verrà alla luce, Juan realizzerà come in amore niente possa essere orchestrato a tavolino o come non sia una poesia di cui trovar le parole giuste.
Usando l’escamotage di Juan poeta (premiato tra l’altro con una medaglia per la sua opera), Reygadas approfitta del personaggio per regalarci una visione dell’amore lontana dai canoni che la letteratura romantica impone. Le profonde riflessioni che entrano in gioco, ora solleticate dai dialoghi ora affidate alla voce fuori campo della più piccola dei figli, aprono una breccia non solo filosofica ma anche psicologica sul tema. Esther e Juan accettano l’idea di relatività dell’amore per superare il primo tradimento dell’uomo: l’alibi, del resto, è ciò che Juan andava cercando per placare il dolore di chi lo amava con il cuore e con il corpo. Per tale ragione, il poeta arriva anche a ipotizzare che la moglie possa aver instaurato una relazione parallela con Phil per vendetta.
Lungi dal soffermarsi su quale sia la visione morale corretta (chi è senza peccato scagli la prima pietra), Nuestro Tiempo ci interessa per le sue qualità intrinseche e per il passo in avanti nella filmografia del regista. Noto per le sue opere provocatorie, metafisiche e bestiali, Reygadas si spoglia di ogni orpello e non cerca il colpo a effetto. Sembra quasi che voglia rimanere un passo indietro per lasciare alla sceneggiatura, alla fotografia e alla presa sulla realtà il compito di farci intendere la sua verità. Le immagini, ora traballanti ora perfettamente nitide, sono spesso riempite dei colori aridi di una zona messicana alquanto sconosciuta al cinema, che contrasta con i tanti sentimenti dell’anima dei protagonisti: fango secco, acque sporche e tramonti quasi marroni hanno il sopravvento in scena, fino a quando con il tradimento arrivano incessantemente le piogge, che aspirano a lavar via la sofferenza. Il voice over con le sue riflessioni spesso si sposa con la maestria delle immagini ricavate dalle fotocamere situate in posti impensabili, dal motore di una macchina agli ammortizzatori di una ruota: magistrale è la sequenza aerea che riprende Città del Messico e culmina con l’atterraggio all’aeroporto della capitale messicana con tanto di apertura di carrello e successiva frenata sulla pista o quella che sotto la pioggia battente mostra Esther fa ritorno al ranch in macchina e Juan accompagnarla a cavallo di corsa.
La spensieratezza delle sequenze di apertura che mostrano ragazzi e bambini intenti a giocare nelle basse rive, nel fango e ad amoreggiare, lascia spazio all’amarezza degli adulti, una generazione cresciuta troppo in fretta per inseguire i valori tradizionali. I nuovi media, dai computer ai telefoni cellulari, assumono il ruolo di aiutanti o oppositori, a seconda dell’uso che ne viene fatto. Il divario tra uomo e donna diviene ancora una volta insormontabile e capire le reciproche esigenze non sempre coincide con l’happy end.
Il sesso che per Reygadas ha giocato grande ruolo nelle opere precedenti si rivela in Nuestro Tiempo suo nemico. Rade le scene di amplessi, tutte di poca durata e mai oltre il lecito. Il sesso, seguendo le linee di sceneggiatura, diviene elemento di rottura e di allontanamento, sia esso consumato in un momento di smarrimento sia esso mancato o desiderato. Il mondo dei tori, facile allegoria che Reygadas usa per lo scontro tra i due maschi, non prevede due capibranco: i combattimenti terminano solo con la morte del rivale, voluta o casuale. E Juan come Reygadas lo sanno molto bene.
Unica pecca dell’opera è l’eccessiva lunghezza: con il senno di chi guarda, alcune sequenze soprattutto centrali appaiono superflue e ridondanti. Una, in particolar modo, non farà felice gli animalisti (un mulo viene letteralmente sviscerato dalle corna di un toro infuriato).
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