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Il cinico, l'infame, il violento

Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film

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La recensione su Il cinico, l'infame, il violento

di Dik
8 stelle

"Se l'ottavo Re di Roma sarà cinese, regnerà su un mare di sangue!". Ecco cosa profetizzava l'ex Commissario Tanzi (Merli), analizzando la pericolosa ascesa del boss romano Luigi Maietto, detto "Il Cinese" (Milian) e, se a frasi come queste, si aggiungono il titolo, il regista e gli interpreti, si capisce come questo film possa essere diventato un cult per gli amanti del genere. Il tema del terzo incomodo che semina discordia tra due bande rivali, è forse un po' abusato ["La sfida del samurai" (1961) di Akira Kurosawa, "Per un pugno di dollari" (1964) di Sergio Leone] ma, con qualche accorgimento e cambiando ambientazione, risulta sempre estremamente godibile e vincente. Lenzi (che scrive il soggetto con Ernesto Gastaldi e Dardano Sacchetti) si conferma un buon regista d'azione, dirigendo, senza sbavature, un "poliziottesco" sicuramente poco raffinato ma molto efficace. Merli, che aveva già vestito i panni del Commissario Tanzi in "Roma a mano armata" (1976), anche se lascia la Polizia, è ormai collaudato nel ruolo del giustiziere dai metodi deprecabili ma efficienti e Saxon (Carmine Orrico), è azzeccato nel personaggio del boss italo-americano Di Maggio. La forza del film però è Milian (Tomás Quintín Rodríguez), che, nella parte di un delinquente dai modi grezzi e dal parlare sboccato (doppiato da Ferruccio Amendola), riesce a risultare simpatico, nonostante il personaggio sia negativo ed aggiunge qualche risata ad una storia che sarebbe troppo drammatica, essendo già presenti picchi di violenza ed efferatezze talvolta insostenibili (si veda la donna nella lavanderia sfigurata dall'acido). Il messaggio diretto che ci dà questa pellicola non è certo edificante. Poliziotti e non che diventano giustizieri incapaci di comprendere l'esistenza di leggi che muovono una società civile, non possono essere presi ad esempio e fu soprattutto per questo che la critica stroncò severamente il film (e molti altri dello stesso genere). Ad anni di distanza, però, si può meglio apprezzare il messaggio nascosto, non pienamente comprensibile alla sua uscita, ovvero quello di voler essere un avvincente spaccato dell'inquietudine e dello smarrimento che attanagliava un intero Paese, il quale, stava attraversando gli anni del terrorismo ed aveva quotidianamente a che fare con una criminalità feroce e dilagante. Il pubblico, fortunatamente, si dimostrò di occhio più lungo rispetto alla critica e decretò l'enorme successo del film ai botteghini. Da rivalutare.

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