Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film
Il secondo capitolo della trilogia del Mektoub torna ad estenuare il pubblico con una durata infinita e con la mancanza di una pur esile trama, filmando la vita dei personaggi mentre chiacchierano e ballano in disco, e nel frattempo inquadrando più culi che nell'intera cinematografia di Tinto Brass.
72 Festival di Cannes 2019
In concorso
Dopo un primo capitolo che già aveva messo a dura prova, Kechiche rincara la dose con una seconda parte delle prevista trilogia del Mektoub ancora più estenuante. Se il primo capitolo già soffriva per l'esiguità della trama, qui questa sparisce completamente, riducendosi la trama a due macrosequenze in cui semplicemente “riprende la vita", apparentemente senza alcuna scrittura: la prima sulla spiaggia e la seconda (che assorbe gran parte dell'infinita durata) in discoteca, in cui i personaggi si limitano a parlare del più e del meno e a ballare. Soprattutto nella seconda maxi-scena, della durata di almeno due ore, Kechiche sembra voler testare i limiti di resistenza dello spettatore, esponendo lo ad ogni singolo minuto di una banale serata, tra l'altro con inquadrature molto simili ad un'ambientazione analoga già vista nel primo capitolo.
Guardandomi intorno ho visto diversi spettatori della proiezione al Palais appisolarsi e sonnecchiare, per essere risvegliati dai gemiti di una scena di sesso orale che più esplicita non si poteva realizzare, da film hard (seppure esteticamente di molto superiore). La carnalità e l'ossessione per il corpo femminile e soprattutto il sedere, che inquadra con un'insistenza ossessiva che supera perfino il nostro Tinto Brass, vengono riproposti anche in questo capitolo, così come nel primo. Se la qualità dell'immagine e della regia non di discutono, si stenta tuttavia a comprendere la ragione per cui il regista ha inteso sottoporre al pubblico un'operazione del genere.
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