Regia di Pierre Schoeller vedi scheda film
Ricostruzione storica magistrale a cui il cineasta ha lavorato per ben sette anni, Un peuple et son roi racconta i difficili quattro anni che hanno portato dalla presa della Bastiglia nel luglio del 1789 alla decapitazione di Luigi XVI nel gennaio del 1793. La storia parte proprio all’indomani dello scoppio della Rivoluzione quando nuovi venti di libertà attraversano le strade della capitale e, in particolar modo, i quartieri più popolari. I cittadini soffrono la fame per vie delle scellerate politiche di Versailles, il re e la regina non godono più del supporto popolare e il profumo di un nuovo futuro si diffonde grazie alla formazione della Prima Assemblea Nazionale, alla cui nascita hanno contribuito anche i movimenti popolari femminili. Con la ferma convinzione che un re non deve mai stare lontano dal suo popolo, la Parigi degli affamati provvede alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, storico documento che porrà le basi per ogni società civile odierna.
Nel tumulto di visi che si susseguono, si distinguono oltre ai volti noti dei rivoluzionari, da Marat a Robespierre, le facce di Françoise, una giovane lavandaia che ha perso la figlia da poco messa al mondo, e Basile, un ladro di polli senza famiglia e cognome che viene graziato e rimesso in libertà. I destini dei due, provenienti una dalla capitale e uno da Varennes, si incontrano con l’arresto del sovrano, dopo un maldestro tentativo di fuga. Mentre l’assemblea riunita al Maneggio reale si confronta su temi come il voto universale, la cittadinanza attiva e la forma di governa giusta da attuare, Françoise e Basile realizzano di condividere lo stesso sogno di emancipazione e si lasciano andare all’amore, divenendo forse la coppia simbolo della successiva insurrezione, arrivata dopo l’increscioso massacro del Campo di Marte.
Lungi dall’essere un film sulla Rivoluzione francese, che da un punto di vista politico e sociale è molto complessa da raccontare con le sue infinite sfumature, Un peuple et son roi è come suggerisce il titolo un’opera incentrata sul rapporto che Luigi XVI ha con il suo popolo e sul destino del sovrano, ultimo discendente di una stirpe di intransigenti regnanti (simbolica è la sequenza in cui il re, in preda ai timori sul da farsi, sogna i suoi avi Luigi XIV, Enrico IV e Luigi XI , pronti a incitarlo a non demordere). Si tratta di una relazione che assume contorni differenti a seconda dell’evolversi dei moti di libertà, suddivisi dal registi in quattro capitoli differenti: il primo è ambientato nel 1789 quando il re è ancora considerato il padre della nazione, un prescelto che per diritto divino siede sul trono; il secondo si svolge nel giugno 1791 quando, dopo aver tentato la fuga e tradito la sua gente, viene catturato prima di essere messo a capo nel successivo settembre della monarchia costituzionale che nasce; il terzo ha luogo tra l’estate e l’inverno del 1792 quando viene prelevato dal suo ufficio e imprigionato prima che abbia inizio il processo che ne decide la sorte; l’ultimo, infine, sposta l’epilogo al 21 gennaio 1793, il giorno in cui nel Campo di Marte, nello stesso terreno che il re ha provveduto a macchiare di sangue di centinaia di civili nel luglio del 1791, viene ghigliottinato dopo essersi chiesto che fine abbia fatto quel popolo che un tempo l’acclamava.
Il pregio dell’opera di Schoeller consiste nel modo in cui traccia, a grandi linee, psicologie ed eventi senza mai cadere nella retorica. Il suo obiettivo è mostrare la presa di consapevolezza della gente comune e il suo progressivo allontanarsi dalla monarchia, elaborando quei concetti di libertà, fraternità e uguaglianza, imprescindibili per ogni essere umano. L’energia che si respira tra uomini, donne e persino bambini, è palpabile sia nelle sequenze di massa (suggestiva è la scena in cui una bambina balla tra le piume dei cuscini distrutti al Palazzo Reale) sia nelle sequenze politiche (la passione di Marat e l’eloquenza di Robespierre ne sono il massimo esempio). Non da meno si evince passione dalle sequenze in cui la gente comune combatte, canta e balla in nome della nazione: formando un coro greco sui generis, la collettività – mossa da altruismo e solidarietà tipici di quelle che in sociologia definiamo comunità - dimostra come, nonostante la morte incomba per tutti quanti, la libertà sia più importante della vita stessa.
Va inoltre riconosciuto al regista un particolare merito: è riuscito a evitare la retorica che poteva trasbordare soprattutto dalle scene prettamente politiche, in cui uno dietro l’altro fa sfilare tutti i nomi e i pensieri di coloro che, esprimendo il loro voto in maniera pubblica, decidono le sorti del sovrano. Per una volta tanto, poi, la cattiva Maria Antonietta rimane sullo sfondo della vicenda, ribaltando quasi la condivisa opinione secondo cui il consorte fosse un semplice burattino nelle sue mani. Ingenua, se vogliamo, è però la metafora finale, che affida al frutto dell’amore tra Françoise e Basile, interpretati da Adele Haenel e Gaspard Ulliel, il titolo di figlia della Rivoluzione.
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