Dziga Vertov ha cominciato la sua carriera lavorando per tre anni in una redazione di cinegiornali propagandistici, " La settimana cinematografica" (esperienza che ha senz'altro influito sulla sua ideologia politica e sul suo operato filmico successivo ) , dove tra i tanti compiti svolti in qualità di giornalista c'era stato quello di riprendere e testimoniare i combattimenti bolscevichi durante la Guerra civile russa ( combattimenti che, in seguito a quelli già vinti dal movimento operaio bolscevico durante la Rivoluzione d'ottobre, decretarono la presa di potere definitiva del governo comunista in Russia, autorità poi esercitata fino al 1991), fattore che probabilmente ha contribuito in maniera significativa alla sua formazione artistica e alla sua concezione di Cinema ,infondendogli il desiderio e il proposito di offrire allo spettatore una visione realistica, analitica e dettagliata (ottenuta andando a riprendere con minuziosa perizia il progredire della vita dei suoi connazionali nelle principali città russe) della sua patria, del suo popolo e della società in cui viveva , di seguire e di approfondire, attraverso il variegato e polifunzionale utilizzo della macchina da presa, la realtà che lo circondava (con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni),realtà che amava rappresentare in tutta la sua interezza, senza sotterfugi, senza scendere a compromessi e senza rifugiarsi in facili scorciatoie, esaltando con enfasi la nascita, l'efficienza e le capacità del nuovo regime sovietico (di cui era un convinto e fervido fautore ), ma non arretrando di fronte ai suoi aspetti più critici e incongrui, mettendo in immagini con passione ed entusiasmo i princìpi e i traguardi della dottrina marxista ( elogiando l'operosità e la dinamica produttività della Russia sotto la neonata governatura bolscevica, produttività e operosità che si estendevano a tutti i settori, da quello alimentare a quello medico), ma filmando anche i punti deboli, le pecche e gli scenari più spiacevoli dello Stato di cui era cittadino , il suo lato oscuro, fatto di estrema povertà e miseria, tossicodipendenza, mercato nero, pazzia. La sua voglia di mostrare il contesto e la situazione a lui contemporanei meticolosamente e senza omettere nessun particolare, il suo disprezzo, il suo disdegno e la sua avversione per il cinema di pura finzione (da lui considerato una forma d'arte priva di autonomia e originalità, una forma d'arte inconcludente ,irrilevante e priva di interesse, da ostacolare e combattere con ogni mezzo per poter lasciar spazio a una concezione audiovisiva inedita e rivoluzionaria che poggiasse le sue solide basi non più nella simulazione, ma nella verità più rigorosa, nell'autenticità più esplicita e ricercata, una forma d'arte completamente nuova, da realizzare senza attori, attrici o comparse, ma solo con l'ausilio di gente vera, genuina e spontanea ripresa nello svolgimento delle sue azioni quotidiane),e l'accentuato sperimentalismo e la spregiudicatezza del suo pionieristico linguaggio cinematografico lo portarono a inimicarsi non solo l'ente produttivo che gli finanziava le opere ( e che bloccò ogni stanziamento in suo favore) e innumerevoli (e illustri) colleghi ( come Sergej M. Ejzenštein ), ma anche lo stesso partito socialista di cui era tanto sostenitore, che gli voltò le spalle offeso e indignato ( preferendo favorire autori meno creativi ma più gestibili e padroneggiabili)!
Il cineocchio ( dal nome del movimento artistico da lui fondato, e sua prima esperienza nel lungometraggio, dopo una serie di lavori dalla durata di 20 minuti ciascuno) è un film- documentario di una modernità tecnica ineccepibile e sconvolgente, un lavoro di cui i veri protagonisti sono la macchina da presa, guidata con sinuoso virtuosismo dal fratello del regista (Mikhail Kaufman), e il montaggio, frenetico e vertiginoso ,con cui Vertov e la moglie ( Elizabeta Svilova, rinomata montatrice e sua collaboratrice) si divertono a massacrare barbaramente ogni criterio cinematografico visto fino ad allora, assemblando assieme ai frammenti di gusto più classico e tradizionale intere sequenze "al contrario" ( ovvero sequenze fatte partire dalla fine, e portate a retrocedere velocemente fino all' inizio) ,stravolgendo e sfidando ogni logica e ordine temporale, e lasciando a bocca aperta lo spettatore in sala( all'epoca non ancora abituato ad assistere dinnanzi al grande schermo ad impudenze tanto singolari e sfrontate!) : ne sono due esempi il segmento del mattatoio ( in cui con l'utilizzo della tecnica appena descritta, possiamo vedere dapprima il corpo del toro inerme e senza vita subire i processi della macellazione, poi , tramite il riavvolgimento della pellicola, la stessa carcassa mutilata ritornare rapidamente e magicamente a muoversi, a camminare, come in preda a un sortilegio miracoloso o alla manipolazione esoterica di un abile prestigiatore, un fenomeno ai limiti del trascendente che ribalta completamente, mettendoli in discussione, i concetti biologici e vitali dell' essere umano, concedendoci il privilegio non solo di veder resuscitare il povero bovino, ma anche di vederlo uscire dal luogo in cui aveva esalato l'ultimo respiro per poter tornare a scorrazzare libero e spensierato nei campi, scelta stilistica che finisce con l'accentuare e mettere in risalto l'atrocità , la ferocia e l'ingiustizia della morte mostrata in precedenza, morte a cui vanno incontro molti animali ignari e inconsapevoli , defraudati del loro bene più raro e prezioso, la vita, per scopi puramente materialistici ed economici!!), e quello dedicato ai tuffi e alla loro corretta esecuzione (in cui il tuffatore, una volta buttatosi agilmente e atleticamente in mare, sembra venir catapultato all'indietro dal getto d' acqua generato dal suo stesso lancio, tornando al punto di partenza, come mosso da una forza incontrollabile e inspiegabile! Questa azione viene ripresa da due angolazioni differenti: dapprima la macchina da presa è situata lateralmente al soggetto, in maniera più tradizionale, poi viene posizionata più imprevedibilmente alle spalle del tuffatore, esattamente sulla struttura in legno da cui viene eseguito il lancio,così quando il corpo del ragazzo, tramite il montaggio, viene rispedito in alto pare scagliarsi senza preavviso contro lo spettatore, creando una sensazione di eccitazione e assieme di tensione e disagio! ). Vertov è stato di sicuro uno dei cineasti del periodo del muto che più hanno saputo osare, uno di quelli che più hanno saputo comprendere e sfruttare il potenziale e le mille risorse che può offrire il mezzo cinematografico, riuscendo a giocare con i trucchi e gli artifici da esso messi a disposizione come un mago fa con i suoi attrezzi del mestiere: alla fine il lavoro del regista e quello dell'illusionista hanno molte affinità e punti in comune ( come metterà ben in chiaro anche Orson Welles nel 1973 con F come falso- verità e menzogne), e il cineocchio riesce a rappresentare ( e a dimostrare)questa considerevole analogia riprendendo uno spettacolo di magia e le reazioni di meraviglia e di stupore del suo pubblico, composto prevalentemente da bambini e adolescenti. Questo frammento può essere visto come una metafora ( seppur involontaria) della settima arte e della finalità per cui è stata creata ( sbalordire e ammaliare la gente che si ferma ad ammirarla, esattamente come riesce a fare l'illusionista con il suo giovane pubblico!) , nonchè dello speciale rapporto di complicità che si và a creare tra regista e spettatore! Da questo punto di vista possiamo quindi affermare che Dziga vertov e i suoi collaboratori sono stati, oltre che dei rivoluzionari, dei veri e propri prestigiatori del mondo della celluloide! Lo dimostrano alcune encomiabili libertà registiche ( come la sorprendente ripresa verticale di una delle strade principali di Tverskoj), e la decisione di unire assieme agli altri fotogrammi un ilare e pittoresco inserto animato ( altra trovata enormemente avveniristica, perdipiù realizzata in maniera impeccabile : in un epoca in cui l'animazione non era ancora diffusa e non aveva ancora preso piede , Vertov non solo si prende il lusso, e assieme il rischio, di immettere in un documentario un segmento cartoonizzato, perdipiù straordinariamente e magicamente attinente al contesto esposto e non svincolato da ogni logica, ma riesce anche a partorire il primo esempio, seppur primitivo, di fusione tra disegno animato e persone in carne e ossa all'interno di un lungometraggio!) ! Questa smania da parte di Vertov di testare procedure e metodologie ancora inesplorate e mai collaudate contrastava con la sua aspirazione realistica , e con la sua minuziosa ricerca documentatistica della verosomiglianza e dell' attendibilità , ma gli permetteva di mettere in pratica delle teorie e delle innovazioni molto affascinanti, a livello visivo quanto a livello concettuale, andando a mostrare le facoltà affabulatorie e illusionistiche di cui può godere la settima arte, e le mille ramificazioni tecniche in cui si può diramare "l' impianto cinematografico" e di cui può usufruire un cineasta per arrivare ad esporre il suo discorso nella maniera più efficace possibile! Perchè questo era Vertov: un artista ambizioso e contraddittorio, un convinto realista e allo stesso tempo un abile surrealista ( come può mostrare anche la sequenza finale della sua opera più celebre, " L'uomo con la macchina da presa")!
Un'altra felice intuizione è quella di mostrare la condizione politico- sociale della Russia non attraverso lo sguardo dei potenti o della classe dirigente ( come si sarebbero banalmente limitati a fare molti altri cineasti con intenzioni propagandistiche) , ma dando spazio al punto di vista entusiasta, festoso e innocente dei bambini ( di cui il Cineocchio riesce a cogliere, con tenerezza e partecipazione , tutta l'allegria ,la vitalità, l'ingenua incoscienza e la candida inconsapevolezza, nonchè la capacità di scorgere anche nelle questioni più austere e solenni occasioni di gioco, di divertimento e di spensieratezza) e a quello mesto e angustiato degli emarginati ( riprendendo da vicino la squallida e dolorosa realtà in cui sono costretti a vivere, senza un avvenire, senza un futuro: un esistenza fatta di continue sofferenze, di solitudine, di umiliazione) : due categorie su cui la macchina da presa si sofferma sovente nel corso delle riprese ( studiando i loro comportamenti con criteri quasi antropologici), e tramite cui Vertov riesce ad addentrarsi in un discorso più ampio, più allettante e più collettivo rispetto a quello espressamente propagandistico , un discorso che gli permette di affrontare non solo temi governativi o prediche demagogiche, ma anche rilevanti piaghe sociali , come la tossicodipendenza (tematica di cui tutti avevano paura a parlare, e di cui Vertov porta a galla con estremo ed ammirevole coraggio i rischi e l'enorme pericolosità), e l'incremento preoccupante di malattie mentali ( la scena all'interno dell'ospedale psichiatrico fa raggelare il sangue ancora oggi, così schietta e sgradevole da rimanere impressa nella memoria, con un primo piano sull'occhio perso nel vuoto di un paziente della clinica che fa venire i brividi, un primo piano che fa intendere tutta l'alienazione e l'angoscia che si celano all'interno di un individuo affetto da disturbi psicologici), un discorso con cui riesce a divertire ( le imprese e le avventure dei giovani " Pionieri"), stupire ( l'entrata in scena dell'elefante, affettuosa e di grande impatto spettacolare) e coinvolgere ( la corsa frenetica in autoambulanza imbastita dall'equipaggio medico con l'intento di salvare un signore anziano colto da malore, avvincente e toccante), un discorso che fa venir fuori tutte le sue qualità artistiche, il suo estro e la sua vivida intraprendenza, un discorso che ( sebbene per i gusti odierni possa risultare, in certi frammenti, un pò ostico da seguire) non può di certo lasciare indifferenti!
Il cineocchio non si limita quindi ad essere un altisonante strumento didattico per spiegare la potenza bolscevica alle masse, non è uno sterile e ridondante prodotto infarcito di retorica: è un laboratorio nel quale Vertov ha la possibilità di collaudare e perfezionare per la prima volta le sue idee e la sua metodologia ( qui ancora in fase embrionali), le stesse che poi saranno in grado di dar vita al suo vero e proprio capolavoro, " L'uomo con la macchina da presa", in cui il cineasta porterà il suo stile e le sue convinzioni alle estreme conseguenze, incorporando nuove disgressioni ( azzeramento delle didascalie, accenni metacinematografici, ricorso allo split screen) e ponendosi definitivamente come punto di riferimento per un intera generazione di cineasti, dal Jean Vigo di " A proposito di Nizza" al George Franju di " Le sang dos betes" e al Jean Rouch di " Chronique d'un été", fino ad arrivare ai più contemporanei Michael Haneke e Wong Kar- wai ( solo per fare qualche esempio!)! Vorrei concludere questa recensione ponendo un curioso e simpatico quesito: Alfred Hitchcock, al termine della celebre intervista con Francois Truffaut, parla al collega francese di un suo progetto ( purtroppo rimasto irrealizzato), " Ventiquattro ore di vita in una città", in cui è possibile riscontrare diverse analogie con l'operato di Vertov! " Bisogna attraversare tutta la città, vedere e far vedere tutto, filmare tutto." spiega il maestro della suspense raccontando e presentando l'assunto del film a cui si sarebbe voluto dedicare: era forse anche lui ( nonostante la divergenza di vedute)un ammiratore di Vertov? Era forse anche lui rimasto folgorato dalla visione del " Cineocchio" e dell' " Uomo con la macchina da presa"? Chissà...
Voto: 8
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