Espandi menu
cerca
Quelli che lavorano

Regia di Antoine Russbach vedi scheda film

Recensioni

L'autore

maurizio73

maurizio73

Iscritto dal 25 giugno 2013 Vai al suo profilo
  • Seguaci 84
  • Post 4
  • Recensioni 891
  • Playlist 1
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Quelli che lavorano

di maurizio73
6 stelle

Buon esordio, che alle riflessioni non banali sulle zone grigie dell'etica nelle moderne società dei consumi ed al rigore di una messa in scena di camere a mano ed essenzialità dei dialoghi, avvicenda lo schema prestabilito di un vuoto pneumatico che sente il bisogno, forse troppo, di essere spiegato sin nei minimi particolari.

Manager di una importante società di logistica, Frank prende una decisione impulsiva che lo porta al licenziamento. Scoprirà ben presto che le contestazioni deontologiche che gli imputa la compagnia e quelle morali per cui viene additato dagli stessi familiari, sono sono il paravento di una subdola ipocrisia che mira al profitto ad ogni costo ed al mantenimento di un irrinunciabile status economico. L'innocenza e la purezza incontaminata della figlia Mathilde rappresentano allora l'unica isola di salvezza cui ancorare le residue speranze in una inarrestabile deriva umana e professionale.

 

locandina

Those Who Work (2018): locandina

 

C'è un uomo in mare, che uomo è?...

 

Lungo le rotte di un cinema europeo da sempre attento ai modi e ai temi di un realismo sociale fatto di precarietà lavorativa, guasti della globalizzazione e minimalismo narrativo, il ginevrino Antoine Russbach si imbarca in un esordio cinematografico che prende a prestito la metafora della libera circolazione di uomini e merci come rappresentazione della definitiva perdita d'innocenza della società occidentale, secolarizzata dall'imperialismo capitalistico e anestetizzata da un benessere economico faticosamente costruito sulle macerie di una lontana miseria rurale. E' questo il Frank cui la cinepresa resta incollata dall'inizio alla fine del film: un self-made man che ultimo dei molti figli di una poverissima famiglia contadina alleva i suoi numerosi figli nell'agiato proletariato urbano di una villa con piscina e smartphone costosi; memore di un passato di stenti, di una gavetta in crescendo e di un cinismo professionale che sa di non potersi fermare davanti a niente e nessuno. Mentre qui i drammi dell'immigrazione e dell'integrazione sono solo la lontana eco di un problema epocale da sempre al centro del cinema dei Dardenne, il loro attore feticcio presta volto e anima ad un travet della logistica mercantile combattuto tra l'ipocrisia di uno stigma sociale che tradisce il vuoto di valori della famiglia borghese e lo spregiudicato cinismo di logiche commerciali votate solo al maggior profitto, imbastendo con questi una facile dialettica tra il didascalismo dei secondi fini (la pace ritrovata in famiglia dopo il ritorno al lavoro, la confessione del suo ex capo sulle reali intenzioni dell'azienda, la proposta indecente dell'amico interessato) e gli accenti sentimentali di un rapporto genitoriale che riesce ancora a ritagliarsi uno spazio di verità all'interno di una incontaminata oasi domestica. Un cinema quindi che alle riflessioni non banali sulle zone grigie dell'etica nelle moderne società dei consumi (il lavoro,l'identità sociale, lo status economico, la rasserenante ipocrisia familiare) ed al rigore di una messa in scena di camere a mano ed essenzialità dei dialoghi, avvicenda lo schema prestabilito di un vuoto pneumatico che sente il bisogno, forse troppo, di essere spiegato sin nei minimi particolari, senza risparmiarsi sulle confessioni di tagliatori di teste, figli che rivendicano il loro diritto acquisito al benessere, psicologhe che tracciano l'impeccabile profilo del manager provetto e perfino la boutade finale di un ben remunerato congedo marinaresco che si tinge di rosso nelle acque del Mediterraneo. D'altro canto ad un esordio cinematografico di tale spessore è ingeneroso chiedere di più. Produzione sostenuta dal tax credit svizzero-belga e ambientato tra Ginevra ed il porto di Anversa. Come al solito perfettamente in parte il bravissimo Olivier Gourmet, cui l'autore confessa di aver concesso assoluta libertà di interpretazione. Nominato per il Pardo d'oro al domestico Locarno Film Festival 2018, rimane suo malgrado all'ancora. 

 

Onda su onda
il mare mi porterà
alla deriva,
in balia di una sorte bizzarra e cattiva

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati