Regia di Antoine Russbach vedi scheda film
Andare avanti, quando non si può più tornare indietro. Uscire dal passato. Si può, continuando a sbagliare.
Il lavoro sporco. Qualcuno lo deve pur fare. Senza pensare che, una volta compiuta la missione, forse ci si troverà soli, con la coscienza lurida, fra la generale incomprensione e ingratitudine, sequestrati dal ricordo del male causato. Un padre di famiglia, per motivi professionali, si macchia di un terribile delitto. Per salvare la compagnia dimentica la propria umanità. Sbaglia, e paga con la perdita del lavoro, il rifiuto sociale, la preoccupazione per l’avvenire suo e della sua numerosa famiglia. La tragedia, ancora una volta, assume le sfumature della quotidianità più banale, di quel logorante miscuglio di routine ed imprevisti che da un lato rassicura, dall’altro sconforta. Lo stress è fatto di piccole cose, germoglia dai bassifondi della realtà, dove la vita comune ci schiaccia, mentre gli stessi problemi si appiattiscono al livello dei quiz a cui si deve rispondere con una crocetta sul sì o sul no. I dilemmi sono questioni di istanti, da risolvere secondo gli umori del momento, lasciando che il caso o l’opportunità decidano per noi e per gli altri. A fronte di un turpe assassinio commesso per mere ragioni commerciali, può far specie l’assenza di suoni che si avverte dietro al racconto, la mancanza di toni drammatici, di lacrime, di melodie incalzanti che riproducano il sordo strazio dell’anima. La patina della normalità resiste, interrotta solo dagli sporadici gridolini della futilità. La storia, nonostante tutto, prosegue insipida come sempre, incapsulata nella sua veste levigata e incolore, tale da tagliare fuori anche il cinismo. L’imperturbabilità della superficie è il riflesso del vuoto interiore, che non fa fatica ad emergere, per inondare il mondo circostante. Del resto, se il rimorso esiste, ed è come un buco nero, è impossibile distinguerlo, nel buio generale. Tutto è ugualmente privo di luce. La bugia si confonde con la verità, la colpa non scandalizza, lo scandalo non fa rumore. C’è un vortice, al centro dell’universo, ma si può comunque andare avanti, camminandoci intorno. Sembra perfino facile, far finta di nulla. Lo specchio d’acqua rimane immobile, a restituire il consueto ritratto di una convenzionale felicità. Non è, semplicemente, un impudente artificio dell’ipocrisia: è l’indifferenza che riesce ad assurgere a quiete, la reticenza che diventa il dono del silenzio. Un camuffamento che finisce per farsi interpretazione, astuta rivisitazione del vissuto: aggirando l’ostacolo, al discorso diretto si sostituisce la perifrasi. Il messaggio, a dire il vero, si fa attendere, stenta a prendere forma, ma poi giunge forte e chiaro. Si può mostrare a dito anche ciò che è stato cancellato. Si può finanche mentire a se stessi, convincendosi di non avere imparato nulla. Il finale, un po’ a sorpresa, ce lo spiega proprio bene.
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