Regia di Emanuele Caruso vedi scheda film
Due giovani arrivano in auto in uno sperduto paesino ai confini della val Grande, l'ultima regione di wilderness italiana. Le ragioni del loro viaggio non appaiono subito chiare: un montanaro li raccoglie in paese e li accompagna per lunghi sentieri sino ad uno sperduto gruppo di case dove vivono da quarant'anni anni un monaco e, da pochi mesi, un medico e un biologo. Qui l'atmosfera è tesa, i dialoghi aggressivi; piano piano si capisce si che la ragazza, colpita da un tumore incurabile, spera nell'aiuto del medico per guarire. il medico, perseguitato dalla giustizia per via delle sue cure avventurose, è riluttante ad accettare come paziente. Ma dovere di riconoscenza e senso del dovere lo portano a riprendere in mano i suoi i rimedi ed applicarli alla ragazza. Da qui si dipana la vicenda, e tutte le tensioni che si portano dietro i protagonisti si sciolgono nel tempo, grazie al contatto con la natura e una vita semplice e remota.
La terra buona e' un film dalla forte connotazione morale, con una netta separazione tra i buoni, che vivono sui bricchi nel loro Shangri-la, e i gretti cattivi che vivono in valle. Ma la vera tesi che emerge dalla pellicola è la riproposizione della stracotta storia della bontà dell'uomo che, sepolta dal "logorio della vita moderna", riemerge quando è posto a contatto con la natura: il giovane frustrato e aggressivo ritrova la pace passeggiando in montagna, la malata terminale trova le forze disegnando ritratti e paesaggi, il medico in crisi riacquisisce fiducia in se stesso e il mondo scientifico (svizzero!?) gli offre finalmente una chance di provare i suoi protocolli. Lo spettatore che non sia nato ieri sa bene che il mito del contatto con la natura che cambia le persone è fasullo: solitudine, fugalità e silenzio portano positività solo se le si cerca, chi vi è costretto le odia e vuole solo scapparne via.
Il regista è molto attento a non prendere posizione sull'utilità di cure alternative alla medicina ufficiale: il buon medico, che lavora per i pazienti e non per i soldi, non ha certezze. Si parla dell'importanza dell'attitudine del malato verso la vita per vincere la malattia. Certo che solo immaginare la remota possibilità che miscuglioni sviluppati al di fuori della comunità scientifica possano dare qualche risultato per affrontare un problema complesso come il cancro a me pare un comportamento poco responsabile. E vedere la malata incurabile che all'inizio del film sale a fatica i sentieri su un mulo e ne scende saltellando dopo settimane......
Ma forse una lettura morale della pellicola è troppo stringente: la vicenda va magari letta con più leggerezza, si tratta di simboli più che di storie reali, anche se tre storie reali incrociate hanno ispirato la sceneggiatura. Però anche da un punto di vista strettamente cinematografico c'è qualche buco di sceneggiatura (perchè uccidono la cavalla, non volevano soldi? e il fucile a chi spara?). Alcuni attori sono molto bravi in particolare Gea, altri non reggono la difficile prova di evoluzione del personaggio nel corso del film che il regista chiede loro. Splendidi panorami della Val Maira.
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