Regia di Mario Brenta vedi scheda film
Il giovane guardiaboschi Barnabo ha poco lavoro, i suoi principali nemici sono i contrabbandieri. Questi ultimi uccidono il suo capo e riescono a sfuggire a Barnabo, che non sa darsi pace e si ritira a fare il contadino. Ciononostante dopo tanti anni il suo amore per la montagna è ancora forte e decide così di ritornare sui luoghi del passato.
Barnabo delle montagne è uno dei pochi film girati da Mario Brenta - per la precisione il terzo, a quasi vent'anni dal debutto con Vermisat (1975) - ed è un'opera dalla profonda resa emotiva, incentrata sulle psicologie dei personaggi e sulle sensazioni, a suo modo esistenziale, ma dal debole impatto in termini prettamente visivi. In sostanza: calma piatta sul piano narrativo, dialoghi e azione ridotti sensibilmente, una ricerca di pathos in levare, attraverso ciò che manca, ciò che non si vede piuttosto che mostrando esplicitamente. In tutto ciò l'opera ricorda da vicino il cinema di Ermanno Olmi, anche per l'ambientazione montana: non è certo un caso, poichè il regista è stato aiuto di Olmi, nutrendo per lui dichiarata ammirazione. Brenta è accreditato anche come sceneggiatore insieme a Angelo Pasquini e a Francesco Alberti, partendo dal racconto omonimo firmato da Dino Buzzati. Due ore tonde di pellicola, specie se a questi ritmi rarefatti, sono pesantine; nulla da dire sul cast tecnico e artistico, nonostante l'assenza di nomi di particolare richiamo. Fra gli interpreti: Duilio Fontana, Carlo Caserotti, Antonio Vecelio, Alessandra Milan e, naturalmente, il protagonista Marco Pauletti, qui alla sua prima e ultima esperienza su un set. Barnabo delle montagne è stato portato a Cannes, da dove è tornato senza premi. Il regista si prenderà in seguito una lunga pausa, per riprendere in mano la macchina da presa solamente negli anni Dieci del secolo successivo, ma come documentarista. 4/10.
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