Regia di Christopher Caldwell, Zeek Earl vedi scheda film
Fanta-vintage che rinverdisce i fasti di una exploitation a base di scene pulp e rock psichedelico, bildungsroman femminista e apologo sull'avidità umana in trasferta extraterrestre, epica formato famiglia di una frontiera che si rinnova e struggente poetica di una nuova alba che sorge lungo il cammino di umanità precaria perennemente in fuga.
Da un hub orbitante attorno ad una luna aliena la giovane Cee si inoltra con il padre sulla superficie inospitale di un mondo lussureggiante alla ricerca delle gemme preziose generate da pericolose specie vegetali autoctone. Il loro incontro con un'altra coppia di cercatori umani vedrà sopravvivere solo la ragazza e lo sconosciuto assassino di suo padre, uniti più che mai dall'istinto di conservazione e dalla comune lotta contro gli assai più spietati e avidi coloni del luogo.
... E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire
Fanta-vintage che rinverdisce i fasti di una exploitation tarantiniana a base di scene pulp (fuori quadro) e rock psichedelico, bildungsroman orgogliosamente femminista e apologo sull'avidità umana in trasferta extraterrestre, epica formato famiglia di una frontiera che si rinnova e struggente poetica di una nuova alba che sorge lungo il cammino di una umanità precaria perennemente in fuga. Gli ingredienti ci sono tutti, compreso uno story-concept sviluppato da un corto omonimo del 2004 e dalla volontà dei due autori (Christopher Caldwell e Zeek Earl) di riprodurre il realismo dell'ambientazione rinunciando alle diavolerie della CGI e lavorando di gomito su effetti speciali artigianali, illuminazione naturale e scenografie (costumi compresi) che riproducessero la magia del fantasy sci-fi degli anni '70 (il modello è Lucas, ma non solo) ed una piccola epopea futuribile che dopo l'indigestione di un immaginario prossimo venturo a colpi di pretesa attendibilità scientifica, di verosimili ricadute teconologiche ed ingenua fiducia positivista degli ultimi anni (Mission to Mars, Interstellar, The Martian) riportasse l'uomo coi piedi ben piantati per terra, sulla superficie venefica di un mondo dalla gravità terrestre ma dall'aria giustamente irrespirabile, ma concentrando l'attenzione sulla eterna e irriducibile tragedia delle passioni e della natura umane: quel pastiche contraddittorio di ferocia e fragilità che la nostra specie non può che portarsi dietro nelle sue lunghe peregrinazioni attraverso gli eoni e le sconfinate distese interstellari; unica specie veramente morale, in grado di guardare ai propri simili con la irresistibile dolcezza della compassione e della solidarietà ma anche con la crudele protervia del sopruso e della prevaricazione. Insomma una storia di fantascienza per dire dell'altro, che nutre il suo consueto dramma umano delle ansie del più classico racconto di formazione nel segno della vicarietà del padre (dove all'avidità del genitore naturale si sostituisce però la lealtà di quello putativo), che sviluppa la sua credibile tensione sulla prevedibile tenzone contro le forze ostili che minacciano un pacifico ritorno a casa (o qualunque scatola orbitante si possa chiamare con questo nome), ma che soprattutto contribuisce con l'uso immaginifico delle ambientazioni e l'irresistibile contaminazione del soundtrack sixties (intradiegetico) ad alimentare quell'aura di piccolo fenomeno di culto che riesce a restituire di se stesso. La lullaby sensuale e magica di Ilona Balina fa da ipnotico sottofondo alle ansie esistenziali della acerba poetessa bionda di una straordinariamente matura Sophie Thatcher (il cognome non inganni, la dolcezza qui è di casa) mentre lo sguardo torvo e sornione di Pedro Pascal pesca a piene mani dal truce campionario umano dei migliori spaghetti western. Presentato al South by Southwest Film Festival nel Marzo 2018 è stato distribuito urbi et orbi per il mercato video-on-demand (vedi link sulla scheda).
J'ai perdu mon père
pour chercher l'aurelac
mais sous la feuille du patagnac
j'ai trouvé un autre pa'
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