Regia di John R. Leonetti vedi scheda film
An almost quiet place.
Le sei scimmiette.
1. “the Silence” (2019), la versione instant-movie low-fi (arco e frecce) asylum reduct di “A Quiet Place” (2018) di John Krasinski.
2. “Bird Box” (2018), la versione hi-fi inversa di “Blink” (2007) di Steven Moffat, il 10° ep. della 3a stag. (nuova serie, decima rigenerazione) di “Doctor Who”, o quella "action" del capolavoro shyamalaniano "the Happening", e del quasi superfluo, ma comunque più discreto che mediocre, "BlindNess" di F.Meirelles (da J.Saramago), entrambi del 2008.
3. “the Tribe” (2014), la versione ucraina hard complementare a quella friulana soft di “l'Estate di Giacomo” (2011) di Alessandro Comodin (lista "completa").
Era dai tempi (1990) di “Tremors” di Ron Underwood con Kevin Bacon e Fred Ward e “AracnoFobia” di Frank Marshall con Jeff Daniels e John Goodman [senza dimenticare “Eight Legged Freaks” (Arack Attack) di Ellroy Elkayem con David Arquette e Scarlett Johansson; a tal proposito, qualcuno la salvi da sé stessa - sì, ok, certo, il conto in banca è al sicuro, però, e dai... -, ché in 10 anni ha girato 3 film salvabili: “Vicky Cristina Barcelona”, “Under the Skin” e “Hail, Caesar!”, e aggiungiamoci pure “Her”] che non provavo quel brivido... guilty pleasure... tipo fumarsi un panetto di burro e strutto rollato nella pancetta con filtro di lardo. “Sucker of Souls” in "Love, Death & Robots" è un "buon" esempio coevo recente.
Già i titoli di testa scrausi (bongjoonhoiane ambizioni ecologiste alla “Gwoemul”/“Okja” messe in scena come fossimo in una puntata di RiEducational Channel condotta dall'indimenticata Vulvia di guzzantiana memoria o, peggio, in “Long WeekEnd” di Jamie Blanks, il remake dell'originale omonimo film del 1978 di Colin Eggleston. Ergo: come fa a non piacere?) dovrebbero mettere in guardia.
Partendo da una premessa raffazzonata che solletica a colpi di bastone la sospensione dell'incredulità, il film prosegue poi con una bella scena iperrealista in pieno giorno s'un cavalcavia: il resto è un bel family survival movie.
Un'adorabile baracconata, insomma, girata contemporaneamente ad “A Quiet Place” [che racconta il durante e il principio del dopo-catastrofe/invasione, mentre il film di Leonetti (classe 1956, figlio d'arte di Frank, l'Augusto Biascica di "the Wizard of Oz" e "Singin' in the Rain", qui probabilmente alla sua prova migliore grazie alla recitazione del cast di professionisti) mette in scena (come in “Bird Box”) il prima e il principio del durante, con echi del principio del dopo: il bio-trituratore (prevedo grandi fatturati per la Boeing in quel futuro) e, “spoiler”, l'arco e frecce], della quale n'è il parziale specolo (indaga meglio le origini del disastro) e il totale riflesso/proiezione (ribadendo: non che l'... “originale”, invece...) topos-retorico (co-protag. con handicap abilitante, sacrificio famigliare, missione di soccorso, e, in più, il topos per eccellenza: umani peggio delle bestie), ma recuperata solo in seguito (da un in/giusto oblio) da Netflix per immetterla sul mercato in contemporanea a “Bird Box”, film col quale condivide diverse ed evidenti se pur sensorialmente differenti attinenze.
Con alla regìa (su sceneggiatura di Shane e Carey Van Dyke, nipoti di Dick e in zona Asylum, tratta dal'omonimo romanzo di Tim Lebbon, un autore di b-horror e novellizzazioni) John R. Leonetti (i mediocri “Wolves at the Door” e “Wish UpOn”), non certo un fulmine di guerra, ma un discreto mestierante che si è fatto le ossa come direttore della fotografia in molti action/horror dalla fine degli anni '80 alla prima metà degli anni '10 per poi passare stabilmente, da un lustro a questa parte, alla direzione, dopo un paio di prove nei decenni precedenti alla guida di sequel dello stesso genere.
E, inoltre, un niente meno che eccellente parco attori: Stanley Tucci – “the Lovely Bones”; Kiernan Shipka – “Mad Men”; Miranda Otto – “Lord of the Rings”; (queste ultime due imparentate con altro grado anche in “Chilling Adventures of Sabrina”;) l'indimenticato John Corbett di “Northern Exposure” / “un Medico tra gli Orsi” (e “United States of Tara”), che esce di scena troppo presto, persino prima della telefonatissima fine del rottweiler; e l'ottima caratterista Kate Trotter.
E, infine, un più che discreto comparto tecnico: fotografia di Michael Galbraith (“Wish UpOn”, “the Expanse”), montaggio - per lunghi tratti pedissequo - di Michel Conreoy (Splice, Mama, Penny Dreadful, Vickings) e, soprattutto, musiche di tomandandy (“the Monster” di Bryan Bertino).
Interessante la modalità di convogliamento e amplificazione delle onde sonore atte a definire provenienza e direzione delle prede messa in atto distendendo a ventaglio/vela/lenzuolo/mantello concavo i patagi (le membrane alari di pelle elasticizzata e vascolarizzata) dei sopravvissuti (cannibalismo, blatte e guano: sfido che siano un tantino affamati, voraci, famelici e un cicinin incattiviti) pipistrelloni ovovivipari "muta(n)ti"... ma taaanto pucciosi.
↓ ↓ ↓ SPOILER ↓ ↓ ↓
Due bei colpi di scena: uno prevedibilissimo, e quindi non tale, ma molto ben realizzato (al nonan ceh is sarcifiac immloandsoi urlnado), e uno splendido (al ragzazian cno citnuar drin-drin e non bum-bum).
[Nel fotogramma qui sopra: le vere bestie uscite dalle grotte.]
Morale: le armi da fuoco sono pericolose, ma si possono utilizzare contro i fondamentalisti cristiano-cattolici (bersaglio facile, preda poco ambita, ma buoni per non perdere l’allenamento) & compagnia mozzalingua inseminante non più cantante: approved.
* * ¾ - 5 ½
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