Regia di Nanni Loy vedi scheda film
Nanni Loy spara un colpo di bazooka sulla famiglia con figli, ma non ha molto altro da proporre come alternativa.
Vedendo questa commedia agrodolce mi sono convinto che Nanni Loy abbia dato il meglio di sé nei film sulla resistenza. Qui se la cava o quasi, ma non lo definirei un bel film. Ciò che mi è piaciuto di più è l'interpretazione di Nino Manfredi, il quale era nei suoi anni migliori. Ma nell'insieme l'opera è caotica e un po' dispersiva, ed è penalizzata da scelte sbagliate, come quella di Ugo Tognazzi in un improbabile mangiapane a tradimento. Totò, dipartitosi all'inizio delle riprese, sarebbe stato sicuramente migliore.
Quanto al contenuto, Loy se la prende con il matrimonio, ma ancor più con i bambini, che sono il vero bersaglio di questo film. Per la verità, il regista sembra mettere alla berlina anche il metodo Monessori (il che mi trova d'accordo), e forse ne condanna i risultati, ma si fa fatica a non vedere anche un biasimo al fatto stesso di avere figli nel matrimonio. Entrambi lamentano di sentirsi logorati nei sentimenti e limitati nella carriera, pure in quella politica. In casa regna un caos perpetuo, un parapiglia anarchico che farebbe uscire di senno anche il più motivato genitore. Ma di nuovo, se si lascia che i bambini si dondolino appesi al lampadario, in ossequio appunto al metodo Montessori, allora lo sfinimento è garantito. E il padre del titolo fa lo zerbino di tutti.
Manfredi dà vita ad un personaggio abbastanza convincente, ma Leslie Caron, che per me è ancora la “Gigì” dell'omonimo musical, impersona una moglie un po' confusa tra tradizione, modernità, desiderio di carriera, di figli, conformismo, ipocrisia e ribellione. In secondo piano, compaiono i temi della speculazione edilizia degli anni '60, le tensioni politiche tra conservatori e progressisti, e i primi movimenti giovanili sessantottini. Alla fine, tuttavia, la pietra tombale scende proprio sulla famiglia, presentata come un luogo di costrizione e frustrazione, più per i genitori che per i figli. E' una dottrina sessantottina, e il sessantotto era infatti alle porte.
Mi sa che mi riguarderò “Le quattro giornate di Napoli” e “Un giorno da leoni”, prodotti di un Loy migliore e più a suo agio.
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