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Vox Lux

Regia di Brady Corbet vedi scheda film

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La recensione su Vox Lux

di Spaggy
6 stelle

Dopo aver trionfato nella sezione Orizzonti qualche anno fa con L’infanzia di un capo, Brady Corbet torna al Festival di Venezia ma in concorso con Vox Lux. Si tratta in poche parole del racconto dell’ascesa al successo di Celeste, una giovane che si ritrova quasi suo malgrado a divenire un’icona della pop music mondiale senza avere forse la lucidità per stare sul palco.

Vox Lux inizia nel 1986 con un video amatoriale e la voce narrante di Willem Dafoe che ci introducono alla vicenda. Al centro dell’intreccio, vi sono due sorelle che si ritrovano a condividere lo stesso talento per la medesima arte: il canto. Si tratta di Ellie, la maggiore, e di Celeste, quella forse meno dotato ma che la vita trasformerà in protagonista grazie a un episodio di triste cronaca nera. È infatti il 1999 quando Celeste viene colpita da un proiettile sparato da un suo compagno di scuola, entrato armato della sua classe e intenzionato a mettere in atto una strage. Celeste se la cava con un proiettile che le si incastra tra due vertebre costringendola per il resto dei suoi giorni a prendere antidolorifici. La sorella Ellie è sempre al suo fianco e con lei, tra una sessione di idrokinesiterapia e l’altra, trova il tempo di prendere parte a una cerimonia in onore delle vittime del massacro, scrivendo appositamente una canzone.

Il brano che Celeste canta, colpendo il cuore di una nazione addolorata da troppi episodi simili tra loro, si trasforma in una specie di inno nazionale e attira le attenzioni di un discografico, che avvicinando Celeste la spinge a divenire improvvisamente donna. Lavorare per Celeste vuol dire prendere le prime lezioni di danza, cimentarsi in coreografie, entrare in sala studio ma soprattutto divertirsi, soprattutto quando con la sorella parte alla volta di Stoccolma, dove un importante produttore lavorerà alla sua prima hit pop. Rubando quello che è il sogno della sorella Ellie, Celeste vive di un incubo ricorrente che racconta a un musicista con cui trascorre una notte di sesso (che la farà divenire madre). Ma ciò che si ruba ha sempre un prezzo da pagare e a tale legge morale non sfugge nemmeno Celeste che è si ritrova davanti alla relazione tra il suo manager e la sorella, un tradimento che vede come doppio e che non perdonerà mai.

Si vola direttamente nel 2017. Celeste è una cantante affermatissima, conosciuta in tutto il mondo, idolatrata dai fan e dal tormentato rapporto sia con la stampa sia con la famiglia. La sua dipendenza da alcol, droga e antidolorifici l’ha resa protagonista di alcuni spiacevoli episodi che gli sono costati anche molto in termini di milioni di dollari. Tornata a New York per una serie di concerti e il lancio di un nuovo disco, deve gestire una complicata giornata in cui si alterneranno conferenze stampa, interviste, diverbi con la sorella, un incontro problematico con la figlia Alby, l’ennesima bravata prima di salire sul palco e il ricordo di accordi con il demonio.

Natalie Portman

Vox Lux (2018): Natalie Portman

 

Diviso in Preludio, Primo Atto (Genesi), Secondo Atto (Rigenesi) e Finale (un’idea simile a quella di Suspiria di Luca Guadagnino), Vox Lux mostra quale sia il grande potere inseguito in epoca moderna, tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo: la celebrità. Per divenire celebri, molto spesso basta rendersi protagonisti di qualcosa che va fuori dall’ordinario: lo aveva del resto ben mostrato Gus van Sant di Da morire, quando a una mefistofelica Nicole Kidman faceva fare di tutto pur di agguantare il successo. La celebrità, epitome della modernità che viviamo, rende in qualche modo vicino alle divinità: comporta infatti l’adorazione, un numero spropositato di seguaci, senso di onnipotenza, deliri onirici e maniacale senso di controllo delle vite altrui, decidendone vita o morte. Celeste non vuole essere celebre, lo diventa per riflesso delle azioni altrui quando sopravvivendo all’attentato nella sua classe scolastica diviene la voce dell’evento stesso.

Paradossalmente, la sua esistenza è segnata dal sangue e dagli attacchi terroristici: nel 1999 a scuola, nel 2001 alle Torri Gemelle (deve rientrare a New York per girare il suo primo video musicale quando ha luogo la tragedia del WTC) e nel 2007 in una spiaggia in Croazia. Durante l’ultimo di questi episodi, gli assassini indossano le maschere che la stessa indossava nel primo video girata e la stampa inizia a far speculazioni sulla coincidenza (attacco indiretto al mondo occidentale che Celeste rappresenta o coinvolgimento a qualche titolo nella vicenda?, minaccia velata o complicità?). Alterata, a una domanda in conferenza stampa, fa un ardito paragone in cui evidenzia come i terroristi altro non siano che gente alla ricerca di attenzione mediatica asserendo che smetteranno di esistere quando i giornalisti, razza per lei crudele, smetteranno di occuparsene e non ne parleranno più. Quindi, per Corbet il terrorismo, vera piaga del XXI secolo, altro non ho che una ricerca spasmodica di attenzione per ideali che altrimenti non troverebbero pubblico e presenta profondi legami con la musica pop.

La figura femminile di Celeste è segnata dai vari passaggi che vive. Figlia, sorella, madre, donna e diva, presenta fragilità interiori e rapporti irrisolti che emergono solo fuori dalle scene. Gli eccessi, i pianti e gli atteggiamenti isterici non vedono mai coinvolto il pubblico che paga per assistere ai suoi concerti (nel suo patto con il diavolo, qualora fosse vero, i soldi vengono al primo posto) ma restano limitati a chi la circonda o a chi casualmente la avvicina mentre beve del vino. Tenta pur senza successo di preservare l’immagine pubblica e di proteggere la figlia, che le ha cresciuto la sorella. I dubbi e i timori li placa con gli eccessi, che come per magia spariscono quando inizieranno le sue performance.

È interessante la scelta di Corbet di sporcare i 35 millimetri della pellicola con filmati amatoriali, sequenze al rallenty o in fast motion in grado di amalgamarsi con il racconto e divenirne appendici. Intelligente è poi la seconda di presentare i titoli di coda come titoli di testa. Ridondante ed eccessivo è invece il lungo finale, studiato a tavolino per sottolinearci la bravura della protagonista Natalie Portman e propinarci un paio di canzoni di Sia, artista che da fa produttrice esecutiva al film. La storia dell’artista che dal nulla diviene star è purtroppo usurata per conquistare del tutto così come l’allegoria della vendita dell’anima al diavolo. Stucchevole è la suddivisione netta e quasi cronometrata dei due atti e superflui sono i discorsi sui cambiamenti dell’industria discografica e dello star system in generale. Suona purtroppo tutto visto o sentito, come una canzone che ha oramai fatto il suo tempo e cerca disperatamente di aggrapparsi alla memoria con un nuovo remix. Il pastone (nonché predicozzo) socio-politico è inflazionato e non bastano gli echi (a caso) di Che fine ha fatto Baby Jane? o la bravura della protagonista (aiutata da un Law in parte mentre è meglio sorvolare sull’ennesima prova deludente della Martin) per rendere Vox Lux un film totalmente riuscito.

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