Regia di Felix Van Groeningen vedi scheda film
Il dramma diretto da Felix van Groeningen ci mostra la durissima battaglia che padre e figlio affrontano per vincere la tossicodipendenza del giovane, sognando di tornare a vivere una vita normale.
Non è facile distinguere chi è il vero protagonista del film. Sono un padre e un figlio che si vogliono davvero bene (“Se potessi prendere tutte le parole che esistono non basterebbero per descrivere quanto ti voglio bene.” – dice il papà David al piccolo Nic – “Quello che provo per te è tutto.” “Everything!” è la parola che serve da collante tra i due) come è giusto che sia tra un padre e un figlio, come succede a tutti noi genitori. Lui è David Sheff, un giornalista freelance che ha divorziato dalla prima moglie e vive con un’altra donna da cui ha avuto altri due figli. L’altro è Nic, il figlio, un bel giovanottino che ad un certo punto della vita, in piena adolescenza, entra nel baratro della tossicodipendenza, che, come purtroppo si sa, inizia quasi per gioco e poi come un vortice inarrestabile fa affondare nelle sabbie mobili delle droghe più pesanti, fino ad arrivare a quella strada senza ritorno, quella delle anfetamine.
Il dramma diretto da Felix van Groeningen, già da me apprezzato nel precedente Alabama Monroe, ci mostra la durissima battaglia che entrambi affrontano, per vincerla sognando di tornare a vivere una vita normale. Ugualmente è difficile capire di chi è la maggiore sofferenza, chi vive la peggiore tragedia: quella del padre che disperatamente cerca di salvare il figlio tanto amato o quella del figlio che non sa uscirne e tutte le volte che promette di farlo sa inconsciamente che non sarà capace di riuscirci. Chi è che combatte veramente di più? Chi dei due sta dando il massimo per riuscirci? Certezze non esistono: quali sono i rimedi più efficaci? Un centro di riabilitazione oppure e anche la forza di volontà? I due combattono, a volte assieme tante volte separati, perché il giovane Nic spesso sparisce per giorni e il padre sa bene perché. E ogni volta a lui non resta che mettersi in giro senza sapere dove andare e solo con l’idea di rintracciare il figlio e riportarlo a casa.
Il dramma della tossicodipendenza è un argomento attuale e purtroppo non da oggi, ma che si trascina, si può dire, da sempre e che negli ultimi decenni ha fatto una strage di persone celebri e sconosciute, divi e fans, donne e uomini, genitori e figli, senza distinzioni, come fa la morte, che si porta via ogni tipo di persona. Leggiamo tante volte le notizie di questi drammi umani – a cui forse non facciamo più caso anche se è un serio problema sempre attuale della nostra società - ma vivere una situazione così forte e tragica guardando un film ben fatto come questo per due ore è una prova non facilmente sopportabile per lo spettatore, perché il bravo regista riesce a farci coinvolgere totalmente ed emotivamente. Il film cioè è capace di trasmetterci ogni pulsazione emozionale che attraversa la mente dei protagonisti e la loro personale battaglia. Il merito è anche e principalmente dei due attori principali, oltre ai due ruoli femminili ben supportati dalle brave e collaudate Maura Tierney e Amy Ryan e anche alla buona regia.
La gara di bravura tra Steve Carell e il sempre più emergente (ma ormai è una certezza per tutti) Timothée Chalamet è esaltante e se per adesso i riconoscimenti stanno andando più al secondo che al primo, a me è piaciuto tantissimo Steve Carell, che (dobbiamo per forza ripeterci?) dimostra ancora una volta di più che quando un attore brillante riversa le sue capacità nel versante drammatico ci mostra qualità inaspettate che ci stupiscono, come se fosse stato fino ad un momento prima un comico solo per sbaglio. Grande, grandissima intensità e immedesimazione sono le doti che questo attore ha infuso nella sua straordinaria interpretazione e io l’ho amato moltissimo. Che poi tutto quello che viene a contatto invece con Timothée Chalamet diventi oro lo sappiamo tutti: è un ragazzo veramente dotato e lo dimostra ogni volta. Però, conditio sine qua non, va ascoltato obbligatoriamente in originale, pena non poter apprezzare la sua recitazione, duttile e matura nonostante l’età. Ma in questa gara secondo me vince il più maturo Steve, tenendo ovviamente presente che rappresentare sul set le sofferenze, ora psicologiche ora fisiche, di chi combatte con la droga direttamente o di riflesso, non è semplice e si può cadere facilmente nel patetico o nel fasullo.
Se in aggiunta si pensa che la vicenda è tutta vera (tratta appunto dei libri scritti da entrambi: il padre David con ‘Beautiful Boy: A Father's Journey Through His Son's Addiction’ e il figlio Nic con ‘Tweak: Growing Up on Methamphetamine’) fa molto effetto e ancor più ci si immedesima nella sciagurata situazione. Mi rendo conto che il mio scritto è alquanto retorico, ma con un argomento del genere diventa quasi inevitabile e questo bel film, impegnato sul piano sociale e impegnativo sul lato artistico, ce lo dimostra in maniera eclatante. Immaginiamo quante famiglie si trovano in questa condizione, quante sofferenze stanno vivendo nello stesso instante in cui guardiamo questo film, in tutto il mondo! Fuor di retorica e lontano da ogni sentimentalismo, sappiamo bene quanto può soffrire un genitore in questi casi e proprio per questo il regista Felix van Groeningen ci offre in primo piano le pagine che il papà scrive durante una delle tante assenze del figlio Nic: “Have you seen my son? Have you seen my beautiful boy? Tell him I miss him!” (Avete visto mio figlio? Avete visto il bellissimo ragazzo? Ditegli che mi manca!)
La guerra sarà vinta? E se sì, quale è stato l’elemento che avrà favorito la svolta positiva? Quel che vediamo è che il papà ad un certo punto decide di smettere di lottare, perché capendo che ha fatto tutto ciò che poteva opta per la resa: ha capito dalla sua esperienza durata anni che solo suo figlio ha in pugno la soluzione per salvarsi, solo lui può decidere di se stesso, soltanto Nic può mettere fine al suo inferno. E abbandona il campo di battaglia, pur con la speranza che qualcosa prima o poi possa avvenire e ridia la speranza di una vita vera e vissuta ad entrambi ma soprattutto al giovane e al suo futuro. Soluzione rischiosa ma, al punto dove si era arrivati, ormai inevitabile.
E qualcosa succederà, perché quando la china è ripida si può solo arrivare sul fondo e una volta arrivati lì non ci sono più alternative: o si giace e si risale. Verso la luce del sole, verso il calore di chi ti vuol bene e ti aspetta.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta